Molto incinta (Knocked up)
di Judd Apatow, 2006
Lei sta iniziando una brillante carriera come presentatrice sul canale via cavo E! ed è bionda ed è bona, lui è un giovane ebreo canadese nullafacente che passa le sue giornate a strafarsi di canne con i suoi amici ebrei canadesi, e ha le tettine. Si incontrano in un locale, si sbronzano, scopano, lei rimane incinta. E via al film.
Quella che molta critica USA sta presentando da mesi come la miglior commedia americana in circolazione, circa, prosegue in realtà il discorso iniziato da Apatow stesso in 40 anni vergine, che è divenuto a sua volta e in breve tempo una specie di inspiegabile cult cristallizzato, citato a destra e a manca e amato dalle fonti più insospettabili: ovvero quello di una commediaccia che si rifà ai canoni della stoner comedy, cercando di mediare l’onnipresente volgarità con tentativi di approccio quasi-sociale, per poi infilarti sotto la cintura senza nessun pudore una morale assolutamente reazionaria.
Ora, se volete possiamo soprassedere sul fatto che il film è la cosa più insostenibilmente misogina che io ricordi (tutte le donne sono delle rompicazzo, gli uomini sono semplicemente degli eterni e perdonabilissimi bambinoni, quindi si è costretti a tifare sempre e solo per il cazzo, in attesa che le donne rimettano la coda tra le gambe – e non lo dico per ridere) e pure sull’antiabortismo medievale che lo contraddistingue (la possibilità che questi due/tre non diventino una famiglia viene messa in discussione solo per pochi secondi, all’inizio, e per di più da un personaggio ritratto in senso negativo, ovviamente donna – Joanna Kerns con un paletto infilato nel cuore e l’altro dove non batte il sole – mentre l’opzione "prendi tutto quello che la vita barra il signore ti dà" è proposta da Harold Ramis, ovviamente uomo e rappacificato con il mondo), si passi pure su tutto questo.
Io non lo farei, lo dico: perché è così, facendo finta di niente, che ci si fa infinocchiare dal regime e si diventa tutt’uno con esso. Chiudendo gli occhi di fronte a un cinema da due soldi che, pur contenendo – bisogna ammetterlo – una visione nettamente più vitale, realistica e impietosa del brutto mondo della postadolescenza, fondamentalmente ci vorrebbe mettere tutti in riga di fronte a un altare (e/o a un fonte battesimale, sui generis). E dato che quello che si prospetta per il futuro, con un minimo di 11 film prodotti da Apatow in uscita tra il 2008 e il 2009, è quasi un regime della commedia (come John Hughes negli anni ’80? Magari), una sorta di Juddapatowland dai confini confusi, mi rendo conto che scherzo e che esagero – e che Knocked up è un film più divertente e più innocuo di come lo dipingo – ma allo stesso tempo permettetemi di spaventarmi un po’.
Comunque sia, se volete, per il divertimento, per lo spasso, per sganasciarsi, si può sempre passare oltre a tutto. Ci hanno sbattuto in faccia locomotive di merda ben peggiori di questa. Il problema però è che Knocked up non è proprio così divertente, non abbastanza da farci dimenticare quanto sia sottilmente spregevole. Certo, è un passo avanti rispetto al film con Carell: la parte furbescamente "scorretta" spinge un poco di più il pedale, qualche battuta buona c’è sempre (parecchie, a dire il vero, anche se è difficile ricordarsene una il giorno dopo), Seth Rogen è bravo ma proprio bravo (sperando che il suo vocione da orso non venga doppiato con la voce di un sedicenne come ai tempi del Principe di Bel-Air), ma non basta.
Anche perché la tendenza è sempre quella di allungare il brodo fino alla saturazione: dal mio modesto punto di vista, un film del genere che dura due ore e un quarto, e nemmeno delle più scoppiettanti, anzi, è una sorta di suicidio artistico. In parole povere, dopo un’ora e mezza si vuole solo andare a casa a occupare meglio il proprio tempo. Ma cielo, due ore e un quarto?
Per ora a Judd Apatow è andata bene. Anzi, molto bene. Va da sé che, per il futuro, io son già qui che faccio il gufo.
Nei cinema dal 19 Ottobre 2007