Waiting at the gate
di Rocky Palladino, 2007
Il ventiduenne Rocky Palladino ha scritto questo film a 19 anni e ha cominciato a girarlo pochi mesi dopo: e sarebbe ipocrita negare che ciò sia evidente in ogni singola inquadratura del suo film d’esordio. Waiting at the gate è, più o meno, il film che a 19 anni abbiamo scritto tutti noi – sulla carta, su una tastiera, oppure semplicemente nella nostra testa – per raccontare al mondo quanto ci sentivamo fuori posto tra la gente che ci stava intorno, e quanto il cinema era l’unica cosa che ci avrebbe salvato la vita. Poi ognuno ha preso la sua strada, mentre Rocky Palladino il suo film sulla fine dell’adolescenza lo scriveva e – seppure con pochissimi soldi e, immagino, con una tenacia paradossale – lo dirigeva. Quindi qui si passa sopra a ogni singola ingenuità di cui il film è pieno, alle dissolvenze fuori posto et similia: demolire Waiting at the gate sulla base di canoni tradizionali, oltre che essere probabilmente stupido visto che il film è piacevolissimo, divertente e soprattutto estremamente sincero e duro nel raccontare quanto sia difficile la vita a quell’età – quanti ce lo sanno dire, ancora? – inoltre conterrebbe, anche, una dose malcelata di invidia. E non si fa.
Se ero un finanziatore e uno mi telefonava dicendo “Pronto? Mi chiamo Rocky Palladino” io gli davo tutti i soldi che voleva senza nemmeno chiedergli a che gli servono. Ma chi e’, er fijo der Monnezza?