The old garden (Orae-doen jeongwon)
di Im Sang-soo, 2006
Oh Hyun-Woo è un ex militante socialista uscito di prigione dopo più di 15 anni che, venuto a conoscenza della scomparsa della sua compagna Han Yoon-Hee, ripercorre nella sua memoria le tappe del loro incontro, a partire dal massacro di Gwangju fino alla sua cattura. I dipinti della donna e le sue lettere, mai giunte in carcere e conservate dalla madre, serviranno a raccontargli tutto il resto.
Dopo il magnifico The president’s last bang, il cinema di Im Sang-soo continua, con un movimento quasi lineare, a interrogarsi sulla storia della Corea del Sud alternando il fatto storico a una visione dolorosamente personale delle vite dei suoi protagonisti. E se là c’era una rilettura grottesca e violenta dell’assassinio del presidente Park Chung-hee, a essere dipinti in questo film sono la primavera di Seoul, le sue conseguenze, il clima politico e sociale degli anni ’80 in Corea, la militanza oppositiva e l’oppressione militare, ma sullo sfondo di un vero e proprio melodramma.
Rispetto all’asciuttezza e alla strabiliante alterità del film precedente, The old garden è quindi senza dubbio un film di più ampio respiro, sia storico che narrativo (per come rifiuta l’unità di tempo e spazio per allargare la visuale in uno stratificato meccanismo di flashback), che viene certamente più a patti con i gusti del pubblico (nonostante sia comunque durissimo, coraggioso e persino sfrontato) e non v’è dubbio che si perda buona parte di quell’originalità che faceva di The president’s last bang un oggetto alieno persino in un panorama come quello coreano. D’altra parte, la scelta di inserirsi nei canoni del melodramma spesso fa sentire il suo peso, come nell’improbabile inquadratura-quadro finale.
Ma Im è un regista che come pochi altri sa accostarsi alla Storia guardandola dritta in faccia, capace di fare un film profondamente politico che affronta senza mezze misure le contraddizioni di una e dell’altra parte, proponendo una visione della Storia per nulla rassicurante né rasserenata che – a costo di capire qualcosa di quello che sta accadendo: ma basta informarsi un po’ prima della visione – sa davvero commuovere, ma anche un film visivamente straordinario che non rinuncia affatto alla forte e liberissima personalità stilistica.
Magistrale la prova di Yeom Jeong-ah, già apprezzata come “matrigna” in Two sisters, non tanto per la mutazione assai tipica provocata dalla malattia del suo personaggio, ma per come sia riuscita a raccontare attraverso l’intensità del suo sguardo la sottrazione dei sentimenti, la frustrazione, l’attesa.
a me è garbato di brutto.
la sequenza degli scontri nella scuola mi ha fatto venire i brividi.
anche a me è garbato di brutto, si capiva?
(e vogliamo parlare dello zoom all’indietro da lui che urla sdraiato nel giardino?)
(e vogliamo parlare della sequenza della sagoma della ragazza con il tizio che si sputa addosso? Mh, detta così non rende per niente l’idea.)
stavolta però prima di vederlo mi leggo un bignami di storia coreana o finisce che non capisco nulla un’altra volta
(OT: Begli occhioni da cerbiatto, quell’header. :P)
il film forse più “comodo ” di Im sang-soo, comunque apprezzabile.
..che ero ad un nonnulla da fare la tesi su costui.
Tutta la sua breve filmografia è secondo me straordinaria a partire da quel Girls’ Night Out, una sorta di shotbus d’oriente (più nelle premesse che nelle conclusioni) col quale già si pone provocatorio e ribelle nei confronti del suo paese, pronto a demolire ogni tabu.
Tanto che oggi non lo vogliono più: al korea film festival disse che per lui era in vista un esilio (forzato) parigino…