Shadows in the palace (Goongnyeo)
di Kim Mee-jeung, 2007
Diciamola tutta, dalle parti di Seoul son tempi cupi, e già da tempo. Non vorremmo mai far la figura dei bambini che gridavano al lupo! al lupo!, ma se escludiamo un limitato numero di nomi altisonanti (Park Chan-wook e Bong Joon-ho in primis, e poi Lee Chang-dong e Im Sang-soo, Hong Sang-soo se avete quei gusti lì, e Kim Ki-duk se siete particolarmente caritatevoli) è un po’ di tempo che il cinema coreano non riserva le grandi sorprese a cui eravamo abituati anni fa, quando lo scoprimmo nel bel mezzo del suo canto del cigno. E se una delle "molle" del grande stravolgimento culturale erano i famosi contributi ai registi emergenti, dove cercare nuovi entusiasmi se non nelle opere prime?
Shadows in the palace, appunto, è un’opera prima, e in quanto tale è stata premiata con l’apposito premio agli ultimi Korean Film Awards, poche settimane fa. Anche per la formazione della sua regista, assistente di Lee Jun-ik sul set di quello sfasciabotteghini che fu The king and the clown, il film si palesa ad un primo sguardo disattento come una sorta di costola del film di Lee. Sul cui medesimo set, per dire, è stato girato. Dopotutto, se un film fa un tale ed enorme successo, cosa ci si può aspettare se non una miriade di emuli? Per quanto, agli occhi nostri, una moda implacabile com’è quella dei film ambientati nell’interminabile epoca Joseon, se decontestualizzata, possa apparire abbastanza inspiegabile.
Ma l’idea alla base dell’esordio di Kim Mee-jeung è invece davvero vincente: l’ambientazione è sì quella del film in costume, ma la vicenda ha le precise e ben consolidate fattezze della detective story. Ad aggiungere interesse a un film comunque ottimamente girato e visivamente molto interessante e curato (ma lì c’è in ballo anche lo straordinario talento dei direttori della fotografia coreani), ci sono anche altri elementi. Il cui primo e più evidente è il vero e proprio esercito di attrici, a cui fa capo la bellissima e versatile Park Jin-hee, che trasformano una vicenda complicatissima e intricata ma rispettosa delle regole globali del whodunit in una lettura completamente "al femminile" del tipico tema della coercizione gerarchica e sociale.
Ma c’è anche dell’altro, ed è un carattere essenziale che aggiunge interesse, alla sua autrice più che a un film la cui riuscita è minimizzata prima di tutto da un eccesso di sceneggiatura (è necessaria una notevole concentrazione, soprattutto se non siete avvezzi al sistema gerarchico dell’epoca Joseon), e ancora di più dalla svolta k-horror, vigorosa nella seconda parte e nel finale ma del tutto inessenziale allo svolgimento della vicenda, e un po’ appiccicaticcia. Questo carattere, si diceva, è lo spiccatissimo senso del macabro di Kim Mee-jeung, ipotetica futura marca espressiva di un’autrice da seguire e da curare per bene, che nei suoi barocchi eccessi gore (gole tagliate, mani mozzate, unghie strappate, una festa proprio) non solo richiama piacevolissimi presupposti slasher che hanno le loro radici anche nel cinema horror nipponico e – perché no – europeo, ma soprattutto ricorda da vicino la libertà che mostrava il cinema della Corea del Sud qualche anno fa, e che un poco ci manca.
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Non vorrei sbagliarmi, ma credo che la regista sia una donna.
non mi sorprenderebbe.
(non essendoci nemmeno la scheda su imdb ho fatto un po’ fatica, ora controllo)
sì è una donna.
grazie.
(tra l’altro, sospettavo fosse una donna, non so perché non l’ho semplicemente cercata su googleimages invece di dare per scontato che fosse un uomo – pensa quanto sono sessista)
(tra l’altro questa rivelazione getta una luce tutta diversa sul film, e il post andrebbe completamente riscritto – o almeno, così sarebbe se io fossi davvero sessista, e quindi no, rimane proprio così com’è)
E’ morto Heat Ledger…
..
credo che seoul sforni ancora opere di tutto rispetto…se ne parla solo meno.
Shadows in the palace mi manca, recupererò…
grazie come al solito
Davvero una bella sorpresa, un film denso e misterioso anche se effettivamente la parte horror è un pò superflua. Bella recensione kekkoz.
V.
grazie mille V.