Exodus (Cheut ai kup gei)
di Pang Ho-cheung, 2007
A volte l’incipit di un film ha una funzione molto più che introduttiva: come accade anche, spesso quasi come una norma, nella forma del racconto breve, la prima frase del testo deve aprire in qualche modo la mente del lettore, far sì che chi guarda si ponga immediatamente delle domande ben chiare (tipo "che diavolo sta succedendo?"), solleticarne la curiosità. Anche a costo di rendere impossibili le risposte. O di essere palesemente sleali.
Exodus si apre con un piano-sequenza, un lungo e lentissimo carrello all’indietro che, a partire dagli occhi della regina Elisabetta in un quadro appeso nel corridoio di un commissariato di polizia, si scopre su una violentissima scena di lotta al ralenti tra un combattivo individuo e una banda di uomini in costume da bagno e maschera da sub, armati di martelli. Un’apertura talmente sopra le righe da tirannizzare, letteralmente, quasi ogni discorso sul film sia stato fatto finora, come sta succedendo qui: e se così è, la tentazione di non parlare d’altro è forte.
Ma sarebbe un peccato, perché oltre all’incipit c’è ben altro: prima di tutto c’è tutto un film che non fa che disattenderne programmaticamente – slealmente dunque, ma in senso buono – le premesse, sia nei toni (il film è nerissimo ma assolutamente antispettacolare, accennato e sommesso come la recitazione dell’incredibile Simon Yam) sia narrativamente (perché quei sub assassini non solo non rivelano nulla, ma il film che segue con essi ha apparentemente poco a che fare). Ci troviamo di fronte a un film che fino all’ultimo fotogramma, se si esclude un lungo e bellissimo flashback, "esplicativo" ma necessario, lavora soprattutto di negazione e di sottrazione, accompagnato dal lavoro, al solito eccellente, del fotografo di fiducia Charlie Lam.
E poi, c’è la conferma di un autore, Pang Ho-Cheung, che si sta costruendo una carriera e una fama attraverso film piccoli e "differenti", ma che è davvero impossibile non notare, e che con questo Exodus riesce a scartare parzialmente sia un eccesso di patina presente nell’irresistibile Beyond our Ken, sia le tentazioni eccessivamente autoriali dello stupefacente Isabella, costruendo un’operetta intelligente, caustica e sottotono, che nel paradosso di una trama bizzarra – che non rivelo, ma solo perché è più divertente scoprirla attraverso la visione – solleva qualche riflessione interessante di ordine storico e (meno) simbolico, ma che soprattutto, nel suo piccolo, prende a schiaffi le esigenze (e le abitudini) dello spettatore. Ben felice di trovarsi i segni delle dita sulle guance.
Un po’ intrusivo ma decisamente riuscito il lavoro del compositore italiano Gabriele Roberto, alla seconda colonna sonora importante dopo quella per Memories of Matsuko.
Spero di vederlo al Far East quest’ anno, visto che non si sono mai fatti mancare questo gran regista!
Tora
si, hanno pure fatto venire la nannini per lui.
sì, c’ero pure io la sera della Nannini. Quell’anno lavoravo lì.
Tra l’altro lui è tanto improbabile nel look quanto pucci nei modi.
io l’ho visto, exodus
la scena iniziale è qualcosa di grandioso
m’è garbato, sì, m’è garbato parecchio (forse ne scrissi pure due righe, se non ricordo male)
sì ecco mi ero dimenticato di dire che il film è stato presentato all’ultimo Festival di Torino.
Mi sembra un’informazione interessante.
ce l’ho li sul cassetto (vicino all’action figure di sidious) da un bel pezzo ormai, sembra che mi debba mettere a guardarlo, sempre che sidious me lo permetta.
smargiasso.