Penelope
di Mark Palansky, 2006
Girato interamente in Inghilterra e presentato al festival di Toronto più di un anno e mezzo or sono, ma uscito nei cinema statunitensi soltanto da poche settimane per colpa dell’abbandono dei diritti da parte degli Weinstein e della IFC, Penelope è l’esordio alla regia di un ex assistente di Sir Michael Bay, nonché di una sceneggiatrice (Leslie Caveny) che viene da buona televisione, soprattutto dall’acclamato Everybody loves Raymond. E dell’esordio, Penelope mantiene alcuni pregi e molti difetti.
Se da una parte c’è senz’altro una coinvolgente freschezza, e la capacità di non prendersi troppo sul serio, giocando molto con i cliché della fiaba e del cinema fiabesco, è anche vero che la natura fortemente derivativa del film dà qualche problema. Un esempio calzante sono le musiche: il compositore inglese Joby Talbot viene da League of gentleman, e mostra di conoscere bene i meccanismi della rilettura "ironica" di un genere. Là l’horror riletto in tono demenziale, qui la fiaba gotica – o mitteleuropea – nell’incontrastato zuccheroso regno di Amélie Poulain. Ma molti sono i momenti in cui le sue melodie non fanno che aggravare la sensazione che Penelope voglia essere a tutti i costi – a tratti in modo piuttosto esplicito, non bastassero la spinta londonizzatrice e la presenza di Catherine O’Hara- il più burtoniano possibile.
Senza sottolineare eccessivamente i difetti del film, ché su un filmettino così naif, inoffensivo e piacevole – e quindi sommariamente indifeso – non mi va di sparare, sono molte le cose che lo salvano, spesso in corner e altre volte con una parata convinta. Come il ritmo e la durata, adeguatissimi, il cast mezzo inglese e mezzo americano e il conseguente – e divertitamente ingiustificato – miscuglio di accenti, alcune partecipazioni marginali (il mefitico Burn Gorman di Torchwood, Reese Witherspoon, la presenza silenziosa del wrightiano Nick Frost). E poi, la performance di Peter Dinklage, che si dimostra attore di grande rilievo, ben oltre le solite macchiette da "little person" (anche se quando compare nel film è nascosto in un armadietto), e la cui malinconia "sporca" il finale di una palpabile sensazione: che nel mondo della diversità e dell’emarginazione, l’happy end non sia che una miracolosa e poco credibile eccezione.
James McAvoy però è davvero insopportabile come dicono: ammirevole il suo impegno nel voler mandare tutto a puttane con la sua imbarazzante interpretazione del principe azzurro spiantato e truffaldino. Christina Ricci è uno splendore, pure col naso da porco.
Il film uscirà senz’altro nel nostro paese: difficile al momento dire quando, e chi.
Touché, junkiepop. Touché.
In che senso “divertitamente ingiustificato”?!
ps ma tutto sto casino perchè aveva il naso da porco? visti i manifesti etc credevo qualcosa di più profondo tipo sfigurata o cose così.
Peccato.
Per un attimo ci avevo creduto a qualcosa di diverso
JP
Bella la foglia di Adobe PS usata nella locandina… che originalità.
yours
MAURO
La farfalla volevo dire… echecaz, cosi piccola sembrava proprio una piuma,foglia,logoPSadobe.
Sorry
AHHHHHHHHHHHHHH
Io farei notare che Joby Talbot ha fatto parte dei Divine Comedy per molto tempo.
no, così eh, per chi non lo sapesse.
daniela.