Lontano dal paradiso
(Far from heaven)
di Todd Haynes, 2002
"I’ve learned my lesson about mixing in other worlds. I’ve seen the sparks fly. All kinds."
Tra i casi più clamorosi di omaggio cinefilo applicato a una sceneggiatura originale (dello stesso Haynes), Far from heaven fu, qualche anno or sono, la conferma che il regista di Velvet goldmine era ben più che un’interessante mina vagante del cinema americano, e molto più che un nome da tenere d’occhio – promessa di recente mantenuta con l’eccellente I’m not there.
Su cosa sia e su cosa racconti e su cosa rappresenti Far from heaven è inutile spendere troppe parole: Haynes restituì alle sale lo splendore dei melodrammi di Douglas Sirk, ma facendo affiorare alla superficie, ed esplodere infine (ma con un garbo e un tatto quasi miracolosi), tutti quei caratteri che in film come Lo specchio della vita erano – per motivi di ordine culturale, e non solo – soltanto sotterranei. In particolare, conflitti di classe legati al confronto razziale, alle dinamiche di coppia, alla repressione sessuale, e alla questione femminile.
Accompagnato dall’incredibile tappeto sonoro di Elmer Bernstein (che non fece che riproporre i suoi stessi stilemi, quasi 50 anni dopo – e superandosi) e dalla fotografia davvero filologica (l’uso del colore, dei dolly, delle sghembe) di Edward Lachman, uno tra i più enormi film sull’incontro, lo scontro e il collasso di mondi differenti – e un’opera di sensazionale, millimetrica, smodata, svergognata meticolosità. Eppure, spudoratamente commovente.
a me velvet goldmine non era proprio piaciuto :
padre, perdonalo.
un film davvero stupendo. Per la fotografia innanzitutto…c’è da rimanere a bocca aperta dall’inizio alla fine.
continueremo a tenere d’occhio Haynes.
Grande anche Dennis Quaid.
bellissimo
troppa troppa troppa maniera. stile: bravimabasta