Funny Games, Michael Haneke 2007

Funny games
di Michael Haneke, 2007

Mi rendo conto che è estate, che la voglia di mettersi a leggere i blog di cinema è scemata, che se si passa da queste parti è per vedere se un film sia venuto bene o meno – o meglio, se sia piaciuto o meno a chi ne scrive. Ma in questo caso, fate pure un passetto indietro: questo è Funny Games. Chi lo guarda sa benissimo che cosa si trova davanti. Sa benissimo com’è, take per take, e sa benissimo se – e quanto – gradirà. E in vista di ciò, ogni considerazione ulteriore diventa improvvisamente extrafilmica.

Insomma, per quanto mi riguarda, credo che per dare un giudizio al film del 2007 dovrei ricalcare un ipotetico giudizio al (gigantesco) film del 1997. Va da sé, non ne ho alcuna voglia. Mi preme semmai sottolineare, me ne sono accorto soltanto durante la visione e ne parlo ignorando come al solito qualunque dato paratestuale (leggi interviste), come quella di Haneke non sia stata affatto una scelta facile, ma al contrario una presa di posizione di grandissima forza espressiva di per sé – al di là dell’innegabile bellezza e rarità dell’opera che ne è scaturita. Perché tra le discussioni su cosa sia uguale e cosa sia diverso, quello che spesso sfugge e che Haneke fa in prima battuta con questo suo secondo Funny Games è riprendere possesso di qualcosa che, nell’applicazione pedissequa della riproducibilità, si era quasi del tutto perduto: l’assoluta singolarità dell’opera.

Haneke, proprio attraverso questo film, incredibile e poderoso quanto l’originale – se non che proprio dell’originalità viene privato, e va ammesso, ciò diminuisce di gran lunga l’impatto espressivo – ribadisce che ogni film è fondamentalmente immutabile. Ricorda al pubblico che nel cinema, o almeno nel suo cinema, nessun movimento di macchina, composizione del quadro, nessuna singola scelta ritmica e timica, niente di tutto ciò è subordinato né casuale all’interno dell’opera definita. Riprendendo l’idea di film come partitura già applicata da Gus Van Sant in Psycho, Haneke non fa che suonare un’altra volta il suo Funny Games – e se l’orchestra differente darà una nuova personalità al film, aggiungendo magari una differente inquietudine dovuta alla "bellezza" del cast americano – unica grande sostanziale "modifica" – il pentagramma resterà immutato.

Il regista austriaco ci ricorda insomma che la grandezza di un film rimane anche nella sua assoluta e spesso dimenticata unicità. E lo fa proprio, paradossalmente, negandogli quella stessa unicità. Sdoppiandosi invece con un furore, un coraggio e una coerenza che lasciano senza fiato, quasi quanto quegli spari fuoricampo, quelle uova a terra, quel gioco buffo di acqua e fuoco che apre le danze di morte di Peter e Paul. Inquietandoci, e spaventandoci, come fosse ancora la prima volta.

21 Thoughts on “Funny Games, Michael Haneke 2007

  1. Molto interessante e giusta analisi.

    La forza dirompente del discorso filmico di Heneke, è che a dissolversi è lo stesso concetto di “originalità” dell’opera.

    Qui abbiamo una versione più scintillante (per cast, fotografia, ambienti, lingua universale) e più edibile che, paradossalmente è il VERO Funny games.

    Fino alla prossima ancora più sfavillante e mirabolante versione che sostituirà la precedente.

    Lo spettacolo (e la spettacolarizzazione della violenza) si ripete sempre identico.

  2. Io continuo ad avere la sensazione dell’inutilità dell’operazione. O forse sono allergico alle troppe teorizzazioni, e Haneke ne fa tante, pure quando fa gli originali.

  3. Vabbè, ma è chiaro che se non ti piace Haneke te ne stai a casina, mica vai a vederti un altro Funny Games.

  4. Io non ho visto il primo, l’originale, quindi spero di cacarmi addosso con questo.

  5. Sono d’accordo soprattutto col commento di kekkoz.

  6. mi piace molto la tua analisi.

    confesso di aver recuperato “l’originale” solo quando sono venuto a conoscenza di questo remake. avendoli visti entrambi per la prima volta, a distanza tutto sommato ravvicinata, confesso di aver apprezzato di più la versione 1997. Sarà che Pitt non riesco a digerirlo granché, ma mi hanno colpito di più paul e peter di pol e piter. de gustibus?

    jecke

  7. Io andrò a vederlo domani… e ti dirò cosa ne penso. Mi piace il tuo blog, fai belle recensioni.

  8. utente anonimo on 23 luglio 2008 at 00:26 said:

    Condivido in particolare l’ultima parte della riflessione :)

    A me questo film, chissà perchè, ha fatto venire in mente Walter Benjamin e il valore dell’unicità dell’opera d’arte.

    Forse sbaglio, ma sono più incline a capire (senza condividere) chi discute il film in sè, che disturba e può non piacere, piuttosto che chi discute del valore (che per me c’è ed è potentissimo) che ha l’idea di ricrearlo identico a un precedente.

    A.

  9. Volevo pure citarlo Benjamin, anche così alla cazzo di cane, ma poi veniva fuori una roba davvero troppo spocchiosa. ^^

  10. utente anonimo on 23 luglio 2008 at 12:34 said:

    Citare Benjamin parlando di un lavoro simile non è ‘spocchia’. Tutt’altro.

    Detto questo. Mi piace e apprezzo quello che hai scritto anche se -pur condividendo il punto di ‘partenza’ (l’assoluta singolarità dell’opera)- non arrivo alle tue stesse conclusioni (a grandezza di un film rimane anche nella sua assoluta e spesso dimenticata unicità). Tra i valori aggiunti di *questo* “Funny Games” c’è anche la sua ‘riproduzione’. Ovvio, non tutti possono coglierlo (tutti quelli che non hanno visto l’originale -che bel termine imperfetto). Però è un valore cinematografico, che supera il concetto di remake. Una scena già ‘nota’ -di quell’impatto poi- sovrappone due strati. Che arrivano a suggestionare due livelli diversi di attenzione (di immaginazione) in chi guarda. In questo, credo, c’è un valore in più. Attribuito a un film (due volte) splendido.

    Occhei, la smetto qui altrimenti altro che citare Benjamin :)

    Intw

  11. Secondo me non siamo poi così distanti – son solo io che mi esprimo a grugniti.

    (intendo dire che la sua “assoluta e spesso dimenticata unicità” è appunto un carattere che entrambe le versioni possiedono)

  12. utente anonimo on 23 luglio 2008 at 13:14 said:

    E infatti su questo siamo d’accordo. Provo a spiegarmi meglio (ma è palesemente una riflessione poco più che istintiva) per quanto riguarda il resto.

    Se qualcuno ha già visto il “Funny Games” del ’97, quando viene colpito da una scena del nuvo FG credo ne ‘viva’ due volte l’impatto. Ovvero: quello attuale (“che diamine: è il cinematografo, baby”) legato alla trama, la regia, la recitazione etc. e quello memorizzato (com’era questa/quella scena? è uguale?) Oltretutto, a patto di ricordarsene bene, c’è anche una specie di anticipazione. Sai cosa accadrà ma non *come*. Eppure potresti perché l’esperimento di Haneke è praticamente filologico.

    Il nuovo FG è due volte originale di per sé

    (bum)

    Scusa, sento dei rumori in cantina. Dev’essere Benjamin che si rivolta nella tomba ;)

    intw

  13. utente anonimo on 23 luglio 2008 at 16:09 said:

    Sì è una bella recensione e ok tutto, ma vedendo il film e anche non vedendolo si capisce chiaramente che l’operazione, per quanto riuscita, è soprattutto speculativa nel senso più economico del senso. Insomma per parlare come si mangia: gli servivano soldi per un altro film dei suoi molto mentalpippen… Aspettiamo la versione per il mercato indiano e una per quello giapponese.

    Detto questo il film mi è piaciuto.

    AlexTheCat

  14. Sì ma Alex, non stiamo qui a fare facciamo l’ingenua Difesa dell’Arte Pura che fa tanto matricola del DAMS, perché ogni film è un’operazione, per quanto riuscita, soprattutto speculativa nel senso più economico.

    E’ un discorso vecchio come il mondo, che non riguarda solo il cinema, e che ripeto a paperella da anni. Per quanto mi riguarda, il succo è sempre lo stesso, e cioè chi se ne frega delle intenzioni e dei moventi, sono i risultati che contano.

    Sbaglio? ^^

  15. (il commento precedente un’ora dopo sembra molto cafone, me ne scuso, il succo non cambia)

  16. quindi l’intenzione di haneke era “negargli l’unicità” per affermarne la sua grandezza. anche queste mi sembrano delle “intenzioni”. sembra una mera questione di punti di vista. per avere un risultato c’è anche da capire da dove si parte e dove si vuole arrivare. se per caso in iraq tra dieci anni ci saranno delle elezioni libere ci potranno anche raccontare che ne valeva la pena, anche farne una sporca guerra, tanto è il risultato che conta…

    leggendo i post in giro mi sembra di capire che chi già amava haneke difende la scelta, chi invece già nicchiava ha trovato un rinforzino per il suo pregiudizio. alla fine è una questione di gusti, estetici ma anche morali.

  17. Tranquillo Kekkoz il tuo commento non è affatto cafone. E ti dò pure ragione in generale. Tuttavia, se lo stesso Tim Roth si chiede il senso di tutto ciò e a distanza di 10 anni ci becchiamo lo stesso identico film il dubbio che sia solo un’operazione di marketing resta forte. Non è la prima, non è l’ultima e non è neanche un male. Soprattutto per il regista che sicuramente domani avrà più facilità a lavorare in determinati ambienti. Io preferirei una distribuzione migliore piuttosto che localizzare enne volte lo stesso film. Sono punti di vista. Ciao!

  18. salve a tutti, scusate se mi intrometto ma trovo davvero stimolanti le riflessioni su questo film. Mia moglie è tedesca e sono 10 anni che mi stressa con il fatto che non riesce più a prestare uova a nessuno. Fino a ieri non capivo! Venendo al vostro discorso sull’unicità direi che ripetere lo stesso film serve a ribadire (come dite voi) che il concetto è universale e purtroppo immutato ma serve anche a far sottolineare che un film in quanto opera d’arte è unica e immutabile. E se finora ero piuttosto contrario ad operazioni simili (vedi Psycho) adesso posso dire che un senso forse ce l’hanno…

  19. Ho visto quello del ’97 nel pomeriggio di ieri. Sono le 8 del mattino del giorno dopo e non sono ancora riuscita a chiudere occhio. Magari aspetto un pò prima di vedere l’altro…

  20. utente anonimo on 28 luglio 2008 at 17:06 said:

    Il remake di un film così particolare a distanza di 10 anni significa solo una cosa: incasso con questo anche quello che non ho incassato all’ epoca..!

    Operazione superflua di un regista che non ha più idee.

    A mio modestisssimo parere…

    21

  21. utente anonimo on 5 agosto 2008 at 00:40 said:

    mentre stavo preparando per l’università un confronto tra i due psycho sono andato a vedermi il “nuovo” funny games. niente da dire: il film dell’anno. Haneke a corto di idee? Può darsi. Ma migliorarsi così tanto cambiando così poco è veramente notevole. Una lezione di vita per Van Sant che, con Psycho, aveva infangato un film rifacendolo [quasi] uguale. E, permettetemelo, una lezione pure per noi che ancora “crediamo” in qualcosa come l’establishment cinematografico :D

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