Gake no ue no Ponyo (Ponyo on the cliff by the sea), di Hayao Miyakazi
Venezia 65, Concorso
Non che qualcuno ne dubitasse, ma così è stato: in un anno in cui molti (quasi tutti, sulla stampa e nelle chiacchiere di coda) lamentano un concorso assai debole a fronte di titoli più interessanti nelle sezioni collaterali, arriva ad illuminare la sezione uno dei più grandi registi viventi, tra i più enormi e autentici poeti dei nostri tempi. E con il suo Ponyo il Mastro Miyazaki accantona quasi del tutto il conflitto e l’inquietudine profonda presente nei suoi ultimi lavori per rappresentare una vera e propria apoteosi elementale, una stupenda fiaba che rappresenta una riappacificazione e insieme un canto di speranza, in cui l’uomo e la natura ricominciano a vivere insieme, si stringono la mano, si abbracciano, si baciano, si amano. 100 minuti di brividi sulla schiena, autentici – e di lacrime di felicità. Quelle lacrime che scorrono senza alcuna ragione apparente, ma solo perché, ed è rarissimo, ciò che è davanti ai tuoi occhi ti fa sentire parte di qualcosa di meraviglioso e straordinario. Un film che recupera la purezza e l’emozione di film come Totoro, e quindi un perfetto testamento spirituale: speriamo ovviamente che non sia l’ultimo. Impietoso il gap tra l’ennesimo capolavoro di un autore immortale e, nel bene e nel male, il resto della rassegna. In un mondo perfetto, e con una giuria perfetta, un film del genere si porterebbe a casa il premio maggiore senza nemmeno doverne discutere. Staremo a vedere.