Teza, di Haile Gerima
Venezia 65, Concorso
Lo slot in cui è stato collocata la proiezione stampa di Teza ha spaventato i molti assenti, e anche il sottoscritto: 140 minuti di film etiope alle dieci e trenta terrorizzerebbero chiunque. Fortunatamente non mi sono fatto traviare dalla stanchezza, perché il film di Gerima è davvero un film forte e sorprendente. Costruito su un riuscito montaggio parallelo tra il presente (il protagonista ritorna nel 1990 nel villaggio etiope in cui è cresciuto) e il passato (i suoi anni ’70 a Colonia durante l’ultimo impero di Selassie, e gli ’80 ad Addis Abeba alle prese con il regime di Mengistu), Teza funziona sia come romanzo storico, ovvero come riflessione sulla storia etiope degli ultimi trent’anni e il doloroso rapporto tra la violenza del regime e il sogno della rivoluzione socialista – sia, ancor meglio, come romanzo popolare: la storia di un "ritorno a casa" (come sarà quello del film di Demme), e insieme della malinconia e della paura, dell’abbraccio con la propria terra e del rifiuto di essa. Ma ciò che colpisce di più è senza dubbio l’incredibile libertà espressiva del film, caratterizzato da un montaggio incredibilmente complesso e da una regia che riesce a sfruttare alla perfezione una sua particolare furia sperimentale senza rinunciare alla scorrevolezza e alla bellezza della messa in scena.
Io lo aspetto con ansia