Il papà di Giovanna, di Pupi Avati
Venezia 65, Concorso
Alba Rohrwacher uccide una vj, e invece di ringraziarla la internano. Si guardava con un certo sospetto all’arrivo del film di Avati, ambientato su un pianeta parallelo in cui Francesca Neri si è sposata Silvio Orlando ma ha una cotta segreta per Ezio Greggio: trailer, locandina, titolo, ambientazione, insomma, tutto volgeva al peggio. Quel che si può dire di buono funziona soprattutto infatti a un livello relativo, una cosa tipo almeno non è brutto come il film di Ozpetek. Avati azzecca il bel ritratto del personaggio principale, un soggetto ben costruito, e ha il coraggio (o il potere) di fare sempre come diavolo gli pare, a costo di fare sempre lo stesso film: purtroppo, nell’attenzione alla ricostruzione storica di questo o quel dettaglio il regista si è dimenticato per strada il film. Che è soprattutto di una povertà espressiva impressionante, per via della solita poca dimestichezza dei fratelli Avati con la post-produzione (con la solita mescolanza di pessima presa diretta e ancor peggiore doppiaggio), ma anche di una fotografia seppiata che invece di dare personalità al film lo priva di profondità facendolo ridiventare la robaccia televisiva da cui Avati sembra voler fuggire – per tacere di un cast imbarazzante, se si esclude Francesca Neri: la Rohrwacher non fa che sbraitare e fare la faccia da matta, ma il meglio lo dà la performance scultissima di Manuela Morabito. Tutto questo senza tenere conto (e ci ho provato, davvero, ma è davvero difficile) dell’ideologia spregevole e un po’ ipocrita che sottende il film: visto che lo sforzo massimo di piazzare un contesto storico periodo nel film è buttato al massimo in qualche frasetta causale ("ehi cara, sai cos’è successo al lavoro oggi?, le leggi razziali!"), tutta la parte verso il finale con il ribaltamento di Roma città aperta con il fascista Greggio al posto di Fabrizi e con i partigiani che sparano a tutti indistintamente risulta ancora più inquietante di quanto non sia già di suo.