settembre 2008

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Venezia 65: BirdWatchers – La terra degli uomini rossi, di Marco Bechis

BirdWatchers – La terra degli uomini rossi, di Marco Bechis
Venezia 65, Concorso

Il film di Bechis doveva essere il gioiello brillante della selezione italiana in concorso: e se anche forse non è bello quanto si sperasse – ma le aspettative erano alte, altissime, pure troppo – senza dubbio si difende con le unghie: Bechis ha un rigore registico che dalle nostre parti spesso ci si sogna, e la capacità di imprimere un’intensità davvero impressionante anche a un singolo movimento di macchina, a un carrello in avanti. In ogni caso, anche se il film osa molto meno di quanto potrebbe, questa storia di espropriazione e riappropriazione, di contrasto tra tradizione e compromesso, funziona fino in fondo. Del tutto accessorio il cast italiano, da brividi quello guaranì.

Venezia 65: Süt (Milk), di Semih Kaplanoglu

Süt (Milk), di Semih Kaplanoglu
Venezia 65, Concorso

Pare evidente che il film del turco Kaplanoglu – tra i più benvoluti della selezione del concorso, almeno a priori – non sia la "solita fuffa festivaliera di cui si parlava in occasione di The visitor: c’è dietro un progetto, una visione del mondo, una vibrazione autentica. Lo riconosco. Ma resta il fatto che Süt è il perfetto esempio di quei film che rendono invisi i festival agli occhi del grande pubblico: campi lunghi, tempi lunghissimi, grandi silenzi, macchina fissa, una buona metà di film in cui non accade assolutamente nulla, e tutto ciò affrontato con molto di compiacimento, e come se per raccontare una storia così non ci fosse altro modo che questo. Ad un certo punto il film prende però una via più precisa, e il prefinale può vantare la bellissima sequenza della caccia, che si conclude con un campo/controcampo quasi simbolista, tra le cose più geniali viste al festival quest’anno. Peccato che si debba aspettare un’ora e mezza, per vederla.

Venezia 65: Vegas: Based on a true story, di Amir Naderi

Vegas: Based on a true story, di Amir Naderi
Venezia 65, Concorso

Tagliamo subito la testa al toro: se si esclude Miyazaki che fa un po’ storia a sé, Vegas è sostanzialmente il miglior film del concorso di quest’anno. Quinto film "americano" del regista iraniano, racconta una storia di ossessione e contrappasso, una discesa all’inferno nel cuore dell’avidità umana ambientato in una Las Vegas quasi del tutto inedita – quella proletaria delle casette con il giardino, della gente che non riesce a stare lontana da quelle macchine mangiasoldi, anche se solo per giocare 5 dollari al giorno. Girato sfruttando al meglio una stupenda fotografia digitale che passa dai colori accesi (i fiori, gli occhi del figlio) dell’inizio a una lunga parte finale dominata dal fango e dalla polvere, Vegas è un film straziante e implacabile, che colpisce prima al cervello e poi allo stomaco. Uno di quei film in cui, a un certo punto, non sai più nemmeno tu se ridere o piangere.

Venezia 65: $€11.0u7! (Sell Out!), di Yeo Joonhan

$€11.0u7! (Sell Out!), di Yeo Joonhan
Venezia 65, Settimana della critica

Ogni festival ha i suoi film più belli e i più brutti – poi ci sono i film che ti sono piaciuti di più e quelli che ti sono piaciuti di meno – e infine ci sono i film, o meglio il film, che ti porti a casa come tuo personale feticcio. Non è necessariamente il miglior film: spesso è solo quello che è arrivato quando doveva arrivare. Il mio caso qui a Venezia 65 è $€11.0u7!: un irresistibile musical malese recitato in inglese che ha finalmente liberato tutte le risate soffocate da un programma che, nel bene e nel male, non ne forniva dalla prima sera – o almeno non in maniera così liberatoria. Da una parte, un giovane inventore per una multinazionale viene privato della sua anima sognatrice da un esorcista – dall’altra, una presentatrice televisiva vuole fare un reality show sulla gente che muore davanti alla macchina da presa. In mezzo, canzoni stupende, situazioni surrealiste, un ritmo scatenato, un gruppo di attori eccezionali. Una bellissima sorpresa. L’incipit con l’intervista al regista è un cult immediato: e vi invito a trovare i tre momenti di poesia in questo post.

Venezia 65: Il papà di Giovanna, di Pupi Avati

Il papà di Giovanna, di Pupi Avati
Venezia 65, Concorso

Alba Rohrwacher uccide una vj, e invece di ringraziarla la internano. Si guardava con un certo sospetto all’arrivo del film di Avati, ambientato su un pianeta parallelo in cui Francesca Neri si è sposata Silvio Orlando ma ha una cotta segreta per Ezio Greggio: trailer, locandina, titolo, ambientazione, insomma, tutto volgeva al peggio. Quel che si può dire di buono funziona soprattutto infatti a un livello relativo, una cosa tipo almeno non è brutto come il film di Ozpetek. Avati azzecca il bel ritratto del personaggio principale, un soggetto ben costruito, e ha il coraggio (o il potere) di fare sempre come diavolo gli pare, a costo di fare sempre lo stesso film: purtroppo, nell’attenzione alla ricostruzione storica di questo o quel dettaglio il regista si è dimenticato per strada il film. Che è soprattutto di una povertà espressiva impressionante, per via della solita poca dimestichezza dei fratelli Avati con la post-produzione (con la solita mescolanza di pessima presa diretta e ancor peggiore doppiaggio), ma anche di una fotografia seppiata che invece di dare personalità al film lo priva di profondità facendolo ridiventare la robaccia televisiva da cui Avati sembra voler fuggire – per tacere di un cast imbarazzante, se si esclude Francesca Neri: la Rohrwacher non fa che sbraitare e fare la faccia da matta, ma il meglio lo dà la performance scultissima di Manuela Morabito. Tutto questo senza tenere conto (e ci ho provato, davvero, ma è davvero difficile) dell’ideologia spregevole e un po’ ipocrita che sottende il film: visto che lo sforzo massimo di piazzare un contesto storico periodo nel film è buttato al massimo in qualche frasetta causale ("ehi cara, sai cos’è successo al lavoro oggi?, le leggi razziali!"), tutta la parte verso il finale con il ribaltamento di Roma città aperta con il fascista Greggio al posto di Fabrizi e con i partigiani che sparano a tutti indistintamente risulta ancora più inquietante di quanto non sia già di suo.