The mist
di Frank Darabont, 2007
C’era un periodo in cui i film tratti da Stephen King spuntavano come funghi. Con una notevole dose di approssimazione, si può dire che King è stato per gli anni ’80 quello che Philip Dick divenne poi per gli anni a cavallo tra i due secoli. In un certo senso, forse, anche perché i tratti più riconoscibili della sua letteratura (per esempio la contestualizzazione dell’epifania soprannaturale all’interno di ambiente di provincia, marginale si può dire, leggi Castle Rock et similia) sembrava adattarsi alla perfezione alle contraddizioni del decennio reaganiano. King era, insomma, una fonte inesauribile di spunti. Che non si sono infatti esauriti, se non nell’interesse che meno autori hanno dimostrato per il loro recupero. Tra cui Darabont, bravissimo sceneggiatore e regista capace, che già altre volte si era confrontato con lo scrittore, con risultati altalenanti.
Chiedersi se King può vivere ancora oggi sugli schermi di genere del cinema americano è la stessa cosa, circa, che chiedersi se gli Stati Uniti d’America siano cambiati o meno, in questi anni. In meglio, o in peggio. La cosa più stupefacente del film di Darabont, invece, è il modo in cui sopperisce ai suoi limiti produttivi facendo quello che il miglior cinema di genere ha sempre fatto in questo senso – ovvero parlando chiaro, e portando il proprio discorso fino in fondo. In questo caso, trovando tra le pieghe di un racconto che altri registi (Carpenter in primis, omaggiato tramite la vistosa apparizione della locandina di The thing nell’inquadratura iniziale) avrebbero adattato in tutt’altro modo, una strada quasi del tutto personale per parlare, con una chiarezza cristallina che viene portata agli estremi e diventa persino violenza espressiva, della mentalità americana. Utilizzando (ancora) le spietate dinamiche di comunità (con una resa narrativa della claustrofobia sociale che spaventa ben più di quattro scorpioni alieni), e soprattutto i temi di natura vs cultura, e della paura – o meglio, del terrore di ciò che non si riesce a vedere né a comprendere, che sfocia, con un’immediatezza terrificante proprio perché votata a un realismo inatteso e ripagante, nel misticismo.
Già in questo suo aver reso così straordinariamente attuale un racconto di un quarto di secolo fa, Darabont ha vinto la sua sfida. E in più, ci ha regalato un film ben riuscito, che gioca scaltramente con la tradizione del cinema "b" permettendosi di non lasciare alcuno spazio a false speranze, e mostrandosi persino sadico (di sicuro più della media) nel suo rapporto con i personaggi e con le simbologie, individuali e sociali, che si portano appresso. Davvero tosto.
L’inquietante finale è di grande coraggio. Un amico non cinefilo che ha visto il film con me mi ha chiesto se avessero fattole anteprime con il pubblico.
La tua limpida recensione la condivido pienamente.
(ovazione in sala alla morte di una donna particolarmente odiosa. Come ai bei tempi del cinema di genere).
a me invece il cinismo del finale ha lasciato un po’ freddino, mi ha fatto l’effetto di uno sberleffo crudele verso il protagonista che non ha voluto credere nella “speranza”, e quindi è stato punito. ricordo di aver detto proprio un secondo prima “ti prego, fa che adesso non arrivino i soccorsi”.
bellissimo. per me quasi capolavoro
Il finale dà la sufficienza ad un film godibile, equilibrato, leggermente superiore alla media dei film tratti da racconti di S.King…
Nulla di grandioso però!
21
Come B-movie è fichissimo, l’horror è da manuale, finale bellissimo, l’unico dubbio per me restano le dinamiche tra i personaggi, troppo scoperte e didascaliche.
SPOILER!
Nonostante il film mi sia piaciuto molto, non sono sicuro di capire il senso del finale al di là di una semplice e un po’ sterile “cinica ironia”. Tipo che il protagonista era convinto di essere in un film pessimista e quando si accorge che invece era a lieto fine è troppo tardi.
Non so: forse un banale nichilismo apocalittico, per quanto più scontato, almeno ha sempre i suoi bei sottintesi. Qui, non ci ho visto molto più che un Ha-ha! col dito puntato verso il tipo e verso il pubblico (reo di essersi lasciato incupire?).
Anche in sala da me, insulti ad alta voce lanciati contro la donna, e applausi alla sua dipartita.
Però sia più accorto Coma: è la seconda volta, dopo i Dardenne, che spiffera punti salienti della trama in un commento.
L
potente e terribile.
non è da telegatti, per fortuna.