Cous cous (La graine et le mulet)
di Abdellatif Kechiche, 2007
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007, il film di Kechiche è l’opera che, secondo molti, avrebbe dovuto uscirne vincitrice – mentre come sappiamo dovette accontentarsi di diversi premi secondari, mentre quello principale andò a Lust, caution di Ang Lee. E l’alone di entusiasmo critico che circonda da allora il film, e che l’ha portato a vincere una miriade di premi, tra cui 4 César, non è per nulla ingiustificato.
La graine et le mulet è infatti un film straordinario. E nel senso letterale del termine: così come costruisce l’impressione di un’opera ordinaria, dal profilo europeo e dal sapore mediterraneo, sa poi prendere strade del tutto inaspettate, sorpassando e travolgendo le aspettative del pubblico. Te ne accorgi quasi subito, con quelle chiacchierate lunghe, lunghissime interminabili, intorno al tavolo – che, nella prima parte, funzionano quasi come un ripensamento della metodologia di presentazione dei personaggi. O nel modo in cui si palesa sullo schermo Rym – mangiando cous cous con le mani, succhiandosi le dita. Ma potrebbe essere tutto qui.
E invece, senza paura di dare fiducia a chi assiste (una cosa rara in un cinema come quello europeo che spesso dà l’impressione di sentirsi intellettualmente superiore allo spettatore) attraverso alcune libertà espressive e sintattiche, con una narrazione che si fa via via più serrata, si arriva a una seconda parte incredibile, di grande compattezza narrativa nonostante il numero di personaggi coinvolti, in cui si crea una tensione quasi palpabile da cui è davvero difficile fuggire. Fino a un quarto d’ora finale che lascia senza fiato, e a una chiusa improvvisa e crudele – o forse semplicemente inevitabile, per come è fatta la vita, e quel beffardo equilibrio che tiene insieme il mondo.
Assolutamente impressionante la prova d’attrice della giovane esordiente Hafsia Herzi, premiata a destra e a manca, più per il suo dialogo con la madre davanti alla finestra che per la sua sensualissima danza (annunciata dai poster spoilerosi). Da veri brividi sulla schiena, invece, sia per la performance in sé sia per la scelta testarda e coraggiosa di mantenerlo integrale e senza stacchi, il monologo urlato, quasi insostenibile, di Alice Houri.
nonostante probabilmente si tratti di un capolavoro, non mi viene assolutamente voglia di vederlo.
dovrei violentarmi… forse.
Violèntati.
Se vuoi ti violènto io, bel.
ma anche no…
In sala a Roma alla fine del monologo di Alice Houri si respirava sofferenza pura. Qualcuno ha urlato “eohh ebbasta!”
Junkiepop
@linvidia: neanche a me!..eppure i suoi precedenti film mi erano pure piaciuti!..sarà il titolo?..mah…
21
non c’entra niente, ma quella fottuta bambolina che ride molto mi ha fatto venire i brividi lungo la schiena, giuro.
ne aveva parlato giustamente bene già ohdaesu all’epoca, convincendomi a vederlo al cinema. ne ri-scrivi tu oggi, e vivida mi ritorna alla mente un’opera che mi aveva impressionato.
comunque condivido appieno l’osservazione su hafsia herzi.
Io l’ho conosciuta questa estate Hafsia è incantevole
sospiro … Ed è anche più carina che nel film è dimagrita di 15 chili nuovo sospiro …
E si che i primi 20 minuti non promettevano tanto bene…
Franca
Ecco,
Ecco, dicevo, qui siamo d’accordo – http://byronic.blogspot.com/2008/07/couscous.html
Irene
il crescendo di questo film mi ha lasciato senza parole.. effettivamente il monologo urlato è sofferenza pura! spettacolo.