La classe, Laurent Cantet 2008

La classe – Entre les murs (Entre les murs)
di Laurent Cantet, 2008

La cosa che rende così speciale – e amato – Entre les murs, film che ha amichevolmente scippato a due meritevolissimi film italiani la Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, oltre alla freschezza e alla riuscita di una sfida effettivamente difficilissima, è forse il modo in cui si giostra tra i diversi linguaggi audiovisivi. Pur sembrando a prima vista un’opera facilmente inquadrabile, e magari assimilabile ad altre ambientate nelle classi scolastiche (come La scuola di Luchetti, con il quale ha somiglianze del tutto superficiali ma assai interessanti) il film di Cantet è infatti tutt’altro. Prima di tutto, come si sa, è progettato più come un laboratorio teatrale che come un film vero e proprio. Inoltre, a livello produttivo sembrerebbe ammiccare al mondo del documentario più che a quello della fiction. Ma proprio di fiction, purissima, si tratta, e inoltre il risultato ha una compattezza e una lucidità impressionanti, grazie alle quali si trasmette in modo immediato, anche se complesso e a volte impietosamente diretto, un’immagine di un conflitto sociale inedito.

Quello che si svolge, verticalmente, tra due generazioni vicine eppure incapaci di ascoltarsi. E quello che si svolge, orizzontalmente, tra i diversi volti e accenti della classe, in una periferia in cui l’integrazione c’è, o dovrebbe esserci, ma appare sempre più come un sogno o un’illusione, lo specchietto per le allodole turistiche delle comunicazioni ministeriali – quando basta una bocciatura per ritrovare, a 13 anni, la fine della speranza in un cambiamento, la strada di una casa lontana e inospitale. Un conflitto di cui i ragazzi sembrano essere quasi più consci che i loro professori, confinati all’angolo e senza più un vero "potere" a marginare il loro potere dissacrante, che è anche quello di una maggioranza abituata a essere silenziosa. E senza più nulla, nulla da insegnare – né, in definitiva, nulla da imparare.

Un conflitto che si svolge, nel coerentissimo affresco di Cantet, sempre e comunque tra le quattro mura. Al di fuori delle quali, il mondo è accennato soltanto dai riflessi riscontrati nella vita scolastica – è qualcosa che non esiste, è quasi antimateria. E’ un controcampo negato, ma per il quale, ugualmente, ci preoccupiamo e soffriamo insieme a François Bégaudeau, alla sua classe terza, a un’aula vuota e incasinata dove, l’anno successivo, si ripeterà tutto da capo, di nuovo. Senza più un senso.

7 Thoughts on “La classe, Laurent Cantet 2008

  1. utente anonimo on 21 ottobre 2008 at 17:29 said:

    niente a che vedere, ma visto che si parla di frenchy e di Cannes 2008, consiglio l’ultimo “sforzo” (è il caso di dirlo, sono 10 anni che lavora su questo documentario…) di Raymond Depardon: La Vie Moderne.

    di prossima uscita nelle sale francesi, visto che “10e chambre, instants d’audience” è uscito in Italia SOLO 6 mesi dopo l’uscita francese, si può sperare di vederlo sugli schermi italiani la prossima primavera.

    Eazye

  2. Concordo con te sulla lettura di questo film, che mi è piaciuto a vedersi, per quanto si debba ammettere che caschi nei cliché della scuola=prigione, e certi caratteri già visti.

    Purtroppo però dopo la proiezione di sabato sera Cantet è salito sul palco del London Film Festival e ha dichiarato che gli interessava far vedere che la scuola non è un mondo a parte ma che ha a che vedere con tutto quello che succede fuori, e mi è improvvisamente parso uno di quei film che il regista gira talmente con gli occhi del cuore che non si accorge di aver messo la camera nel posto sbagliato. Sono stata molto delusa, anche perchè ho letto da poco Chagrin d’Ecole di Pennac, che invece secondo me afferra in pieno l’idea di come il mondo esterno (tra il branding, la peer pressure, il bisogno di avere conoscenza pratica ed efficace al fine di trovare lavoro, integrarsi, avere successo) metta sotto pressione il ruolo della scuola e la difficile presenza dei giovani adulti che la popolano. Interessante che la scuola di Bégaudeau e quella di Pennac siano nello stesso arronidssement di Parigi (20ème, Belleville, ovvero l’unica zona in cui si trovi un vero miscuglio di razze nella Parigi dentro la Périferique). Peccato che i due non sembrino aver mai scambiato due parole.

    Ciao, Irene

  3. un bel film, vero e sincero, secondo me un po’ sopravalutato, però.

    Francesco

  4. utente anonimo on 22 ottobre 2008 at 15:24 said:

    gran bella lettura d’Irene

    e.

  5. utente anonimo on 24 ottobre 2008 at 21:07 said:

    Bello. ma sono un rosicone e, dopo averli visti entrambi, dico che Gomorra è superiore e meritava la palma.

    Per quanto con l’aiuto di attori professionisti e forse di un contesto più spontaneamente “cinematografabile”, anche quello di Garrone è stato un formidabile e scottante esperimento di fiction costruita dal basso. Cantet però mi sembra si sia fermato “solo” a quello: per capirci, in La classe non ho visto molto di più di ciò che avevo visto in La Schivata e non sono riuscito (forse per colpa mia) a vederci nulla al di sotto della superficie.

    Mentre Garrone è riuscito a fare emergere un progetto stilistico inusuale e affascinante, soprattuto in relazione al genere in cui il film si inscrive.

    Insomma: Viva Materazzi.

    MCromate

  6. Insomma: uno cosa poco cinematografica, tanto valeva fare direttamente un documentario, anché perché una sceneggiatura così la scrivevo anch’io.

    Eppoi, per me che ho vissuto una vita circondato da insegnanti, mi è sembrato che quelli fossero insegnanti mediocri: non è possibile che un insegnante non sappia cosa rispondere a chi gli dice che non ha imparato niente, o che l’imperfetto congiuntivo non serve a nulla. Non è possibile che di fronte ad un ragazzo maleducato e rompicoglioni, certo, ma che non ha fatto volontariamente male a nessuno, l’unica provvedimento possibile sia l’espulsione. Tutti gi insegnanti che conosco io (fra cui alcuni trentenni) avrebbero saputo cosa fare meglio del protagonista di questo film: perché sapere cosa fare è il loro mestiere.

    Infine, quelli sarebbero i terribili teppisti delle banlieu? Mia mamma ha insegnato tutta la vita in un paesello di 25000 anime, e aveva teppistelli molto peggiori (e sapeva metterli in riga).

    Insomma, non malaccio, ma Gomorra gli mangiava la pastasciutta in testa. E viva Materazzi.

  7. utente anonimo on 4 novembre 2008 at 19:03 said:

    stupendo…!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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