Racconto di Natale (Un conte de Noël)
di Arnaud Desplechin, 2008
A guardarlo da una certa distanza, il film di Desplechin sembrerebbe un altro racconto alla francese ambientato in una famiglia complicata o disfunzionale. Ma è sufficiente mettercisi davanti e guardarlo per accorgersi della sua unicità, della sua eccezionalità. Non tanto per la perfezione del cast (monumentali Mathieu Amalric e Anne Consigny) né per la sceneggiatura esemplare e misuratissima.
La cosa che colpisce di più è l’inestimabile ricchezza formale del film, il modo in cui Desplechin ha scelto di far interagire la mobilissima, luminosa e impeccabile fotografia di Eric Gautier e il furioso montaggio di Laurence Briaud, con una libertà quasi anarchica che sembrerebbe impensabile in un film così lungo, ma che ne rappresenta il tratto più distintivo – e che si appoggia alla perfezione sulla sensazione di frammentazione rappresentata da questo entropico, sgradevole e insostenibile quanto irresistibile, nucleo familiare.
Fin dal teatro delle delle silhouette che apre il film, passando per dissolvenze incrociate, iridi (tantissimi), sguardi in macchina, monologhi, visioni lupine, citazioni, schermi televisivi accesi per le feste (Dieterle, Donen, DeMille), e più in generale un modo sconvolgente e unico di fissarsi su dettagli apparentemente insignificanti per rivelarne la ricchezza – come il dettaglio di una foto che rivela una lacrima inespressa, delle note musicali lette nel silenzio della sera, o un silenzio che nasconde una verità celata.
Poi, Racconto di Natale è uno di quei film così densi e belli, un tale turbine di malinconia (ma riscaldato dal calore delle seconde occasioni, e infine dal potere del caso, della fortuna e del destino) da poter regalare a ciascuno un momento di verità, un istante di commovente epifania. Che per quanto mi riguarda è in quella cucina, di notte, nel dialogo doloroso, tardivo, necessario, tra Sylvia e Simon, a dirsi finalmente la verità – e il giorno successivo a riprendersi con la forza di un bacio la propria vita negata, tutto d’un colpo.
Ciao e buone feste da Maria
Che strano sentirti scrivere tanto bene del cinema francese
Comunque il film merita davvero, e gli attori anche di più.
Immenso Desplechin.
Grandi applausi al film e alla tua recensione: “inestimabile ricchezza formale” è perfetto. Un film ‘ricco’ davvero. Bello e ‘ricco’ (per niente ‘borghese’ -e il rischio è altissimo a ogni riga di sceneggiatura). Io ho trovato (a voler essere un po’ pedanti) dei limiti solo nella Mastroianni. Risolti (volutamente?) in maniera molto più che brillante da Poupaud.
Piango – mi hai fatto venir voglia di rivederlo
ah cazzo mi ero sbagliato in toto!
Eazye
io l’ho visto troppo tempo fa, mi ricordo molto poco. solo la vaga sensazione di qualcosa di intenso, “ricco” e bellissimo. e mathieu amalric, quoto, monumentale.
adesso mi toccherà rivederlo.
kaw
staserà lo vedrò…son cosi curiosa..
ely
a me più che ricco è sembrato affollato