Milk
di Gus Van Sant, 2008
Ci sono cose di un film che puoi sapere anche senza bisogno di vederlo, il film. Che gli attori sono tutti bravi. Che assomigliano ai personaggi che interpretano. Che un tal film ha un impianto molto più tradizionale rispetto a una filmografia di un regista altrove assai più criptico. Quali temi affronta il film. Quale storia racconta il film. L’importanza della tal storia. Del tal tema. Sotto le luci più differenti. Queste sono cose di cui si può scrivere e discutere a priori – e quindi, lo dico estremizzando, a volte hanno poco a che fare con il film.
Poi ci sono cose di un film che puoi sapere solo guardandolo, il film. E allora ti rendi conto che Milk è bellissimo per come si pone di fronte alla storia (e alla Storia), e ai limiti e ai rischi stessi di un film del genere. Gus Van Sant non ha abdicato, almeno non del tutto, a un cinema piatto e tradizionale come quello che è uso applicare ai biopic statunitensi. La sua regia è ancora vigile, attenta, e più umile, capace di utilizzare la bravura tecnica (eccome) a servizio della narrazione, di nascondere i piani-sequenza dietro l’intimità di un gesto d’amore. Il suo modo di riprendere le cose non è mai banale, né da un punto di vista visivo (il taglio che lui e il direttore della fotografia Harris Savides danno alle inquadrature non è per nulla scontato) né narrativo – si veda la scelta di mescolare con sapienza la finzione con l’utilizzo dei materiali d’archivio. Come se certi volti e certe parole, che ancora fanno paura, fossero impossibili da replicare: meglio ricordare, ogni tanto, che è "tutto vero"?
Per quanto debba sottostare a delle regole ben precise, con un atteggiamento opposto a quello a cui i suoi film più recenti, linguisticamente liberissimi e assolutamente unici nel panorama americano, ci avevano abituato (e che potrebbe lasciare insoddisfatti alcuni dei fan più accaniti del Van Sant più sperimentale e tarriano) Gus Van Sant si riconferma un’ulteriore volta come uno degli sguardi più fieramente indipendenti del cinema americano. A prescindere, e non è cosa da poco, dalla storia (bellissima, esemplare, e tragicamente commovente) che il suo film racconta.
Chapeau!
È la migliore controbattuta che abbia finora letto nei confronti del partito: va be’, era il film che ci si aspettava di vedere, bello eh?, ma niente di più.
E cos’altro vuoi, di più?
Bravo. Con la bì maiuscola.
Grazie, con la G maiuscola.
Non so. Non sono convinto. A me è sembrato abbastanza tradizionale, anche se ben fatto e senza nulla da eccepire. Ma a volte ho la sensazione che Van Sant debba essere per forza idolatrato, che ogni minuto che imprime su pellicola è oro colato… Non che muova questa critica a te direttamente che hai illustrato nello specifico quelli che sono i pro. Ma resto ancora titubante.
Se ti fa stare più tranquillo, ti posso dire che secondo me Last Days è una cazzata. ^^
sono andata a vederlo ieri sera al cinema. Ma avercene di film così! E anche di registi come Gus Van Sant, con una telecamera molto più partecipe in questa pellicola che in quelle precedenti(vedi elephant).
marò, mi hai commosso più del film.
brù
Da accanito fan del Van Sant più sperimentale e tarriano, il film mi ha lasciato molto insoddisfatto. Quanta retorica (nel film).
Poi, nel genere biopic hollywoodiano di merda, è anche bellino.
Però Milk nella foto finale assomiglia a Christopher LLoyd da giovane, mica a Penn. Ecco.
Mutande Cromate
- Se ti fa stare più tranquillo, ti posso dire che secondo me Last Days è una cazzata. ^^
mi sento meglio
«…e sono qui per reclutarvi tutti»
[..] "" La storia narrata in (il film) è una di quelle che sembrano essersi svolte appositamente per permettere un futuro "biopic": la storia di un uomo che arriva a una scadenza importante della sua vita e si rende conto che ha [..]
no. non mi è piaciuto. non mi ha coinvolta, e avevo voglia di essere coinvolta. lo classifico tra i film socialmente ed eticamente necessari, quindi comunque importante, ma il linguaggio e lo sguardo no. no.
forse è la retorica gay che qui si somma alla retorica US.
mi ha lasciato indifferente e non che mi aspettassi chissà cosa!
Diligente biopic intriso di retorica,tecnicamente ben realizzato con attori validi..banale anche il mio commento,lo so.
ormai dopo migliaia di film ci vuole ben altro per emozionarmi,anzi non mi emoziona più nulla.Beh,qualche Ozu,Bergman,Dreyer,Bresson…
finalcut
la retorica gay?
Di grazia, cos’è la “retorica gay”? Le affermazioni moderate e condivisibili al di là degli orientamenti sessuali, come “non voglio più farmi spaccare la testa a manganellate” ?
Violetta
dovranno nascere molti altri Milk prima di poter dire ‘retorica gay’ alla pari di ‘retorica del capitalismo’ senza essere fraintesi o ferire gli animi.
sul momento mi sono detta: oddio ho detto una cosa di destra. oddio ho usato un’espressione politicamente scorretta e discriminatoria, con tutte le mie arie open minded. e sono andata in crisi.
poi ho ripensato a Le fate ignoranti e a Saturno Contro, e all’insistenza melò sul dolore del compagno o la malattia dell’amico. è solo retorica?
comunque grazie per avermi fatta andare in crisi (retorica dell’espiazione)
Non fare la vittima, stellina: mischiare la retorica della frigna, del “soffriamo più o meglio di voi”, del tinello all’Ostiense eccetera e l’impianto narrativo/emotivo di questo film è molto offensivo. E molto grave.
Violetta
vittima?
stellina?
tornando al punto, darling: non sto mettendo sullo stesso piano i contenuti, ovvio, ma la forma e il tono di aluni momenti. lo chiamo eccesso di compassione verso il personaggio.
in un film con impianto documentaristico sarebbe stato molto più efficace non scadere nel sentimentalismo di alcune scene, mantenendo più distacco. l’autore forse è troppo coinvolto per raccontare questa storia.
Mah, considerando quello che Harvey Milk ha fatto da vivo con la sua stessa storia il distacco mi sarebbe sembrato comunque un fantasma da non inseguire.
Pensa all’intensità con cui metteva la sua storia privata al centro della sua storia politica: il coming out, la nascita di una comunità di attivisti cresciuta intorno a lui “in quanto Harvey Milk” prima che per un progetto condiviso (sia nella fase grassroots sia in quella istituzionale), la personalizzazione quasi estrema della “missione” politica anche negli slogan e nella costruzione del discorso.
Se la persona è stata questa, oscurare il lato privato sarebbe stata una scelta cinematograficamente suicida e eticamente moooolto discutibile.
Violetta