agosto 2009

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Friday Prejudice #183

[e si ricomincia]

Il nuovo episodio di Friday Prejudice c’è. Io mi accontenterei.

Visioneers, Jared Drake 2008

Visioneers
di Jared Drake, 2008

Credo che la mia buona predisposizione nei confronti dei piccoli film indipendenti statunitensi abbia dei limiti ben marcati, soprattutto quando si tratta di piccoli film indipendenti americani dalle pretese insopportabilmente surrealiste come questo. Che ha avuto una certa visibilità su alcuni blog americani, soprattutto per la presenza (e per la performance, ottima) di Zach Galifianakis, stand-up comedian divenuto di recente una star grazie a The hangover.

Ma Visioneers è una robetta da due soldi girata nella casa dei genitori (storia vera) mascherata da pamphlet surrealista sull’alienazione del mondo contemporaneo. Parte come una specie di Brasil da camera con una premessa da teatro dell’assurdo (sintetizzando: la gente che non accetta lo status quo esplode) ma risulta soltanto pretenzioso, oltre che mortalmente noioso, pieno com’è di paradossi da liceale (il dito medio alzato come saluto, il "cuddle buddy", tutta la prevedibilissima satira delle corporation), una traccia narrativa tutta derivativa, e un tono generale da tesi di laurea triennale che non se ne va via nemmeno se strofini fortissimo. Non male la chiusa – ad arrivarci.

E poi è un film che sembra considerare la sua povertà di mezzi (e il fatto che il protagonista è un comico ma non sorride mai) una giustificazione sufficiente a farne un oggetto di culto. E invece è bruttarello e basta.

Forgetting Sarah Marshall (Non mi scaricare), Nicholas Stoller 2008

Forgetting Sarah Marshall*
di Nicholas Stoller, 2008

Capita assai di rado che io interrompa la visione di un film: di solito ho pazienza sufficiente per arrivare alla fine di qualunque cagata, più in generale mi tengo lontano dai film che potrebbero farmela perdere. Quando provai a vederlo quasi un anno fa, Forgetting Sarah Marshall mi causò un’orticaria tale che mi convinse ad abbandonarlo a metà esatta.

Molti mesi dopo ho deciso di affrontarlo di nuovo, e stavolta l’ho portato a termine. Non per questo la mia è una promozione, se non sul filo del rasoio: se Forgetting Sarah Marshall è un po’ meglio di come lo dipingeva la mia memoria (ovvero: è sopportabile) questo non toglie che la sua struttura basata su un semplice accumulo di gag, o meglio di "situazioni", spesso palesemente buttate lì tanto per far fare qualcosa ad amici come Jonah Hill e Paul Rudd, mostri la corda dopo una mezz’ora, che l’evoluzione dei personaggi faccia acqua da tutte le parti, e che il musical su Dracula (additato ovunque come il momento clou del film, ed è vero) non ripaghi abbastanza per molta rottura di scatole precedente.

In ogni caso, il film sembra proprio un regalino di Judd Apatow all’amico Jason Segel, che ne è l’artefice ben più che Stoller – e il film è tutto suo, dalla sceneggiatura, al tono stralunato, al pisello. Ma per quanto questa "firma" renda il film un caso più separato e distinto nell’ormai enorme corpus delle produzioni di Apatow (e molta critica in patria ha mostrato di gradire molto: ma quelli si sono bevuti pure Knocked up), Segel funziona meglio come attore che come sceneggiatore – nonostante qualche cosa vera sulle relazioni il film la sappia tirare fuori: l’uso di veloci flashback durante il film per mostrare il graduale disinnamoramento barra presa di coscienza in relazione con ricordi selettivi della vita di coppia (casualmente i primi riguardano il sesso) è davvero riuscito.

Russell Brand è la cosa più divertente del film, è l’unico che fa davvero ridere, e gli si vuol bene.

Comunque dovrebbero impedire a Mila Kunis di fare cinema, perché la ragazza con la sua sola presenza sballa completamente la ricezione del film mandando in vacca ogni minimo accenno di metro di giudizio e di buon senso. Mila Kunis è un acido, santo cielo.

*il film è uscito in Italia con l’imbarazzante titolo Non scaricarmi.

Videocracy – Trailer

Questo trailer non lo vedrete sulla RAI, né tantomeno su Mediaset.
E allora facciamo che lo potete vedere qui sull’Internet.

[se non altro perché è un bel trailer, e forse persino un bel film]

Observe and report, Jody Hill 2009

Observe and report
di Jody Hill, 2009

Chi tiene d’occhio Jody Hill da un po’, per via di The fist foot way e della serie Eastbound and down, pensa di sapere perfettamente cosa aspettarsi da Observe and report. Ma si sbaglia: l’incontro tra la poetica del regista e sceneggiatore e i production values portati da un budget di 18 milioni di dollari (contro i 79 mila dell’opera prima) hanno prodotto qualcosa che va persino al di là delle aspettative più rosee – e cioè, quello che è uno degli oggetti più strani e disturbanti del cinema americano degli ultimi tempi.

Una rottura che si manifesta soprattutto nei confronti della commedia americana contemporanea e di cui Seth Rogen (messo in campo e utilizzato da Hill con il sadismo di un burattinaio strafatto di crack) dovrebbe essere il rappresentante. Una spaccatura che si palesa attraverso la cristallizzazione definitiva dello "stile" di Hill: quella che pensavamo essere una tipizzazione (incarnata nelle opere precedenti nei ruoli di Fred Simmons e Kenny Powers da Danny McBride, qui presente in un cameo) mentre invece si tratta di un intero modo di raccontare senza troppi giri di parole la provincia americana, i suoi orrori e le sue contraddizioni.

E Hill riesce ancora una volta, e per la prima volta compiutamente e senza più alcun compromesso, un personaggio che mette a dura prova non solo gli stereotipi e le categorie narrative ma la resistenza stessa del pubblico. Che non viene posto di fronte ad un distacco – artificio fin troppo semplice – ma al contrario a un’immersione totale che costringe lo spettatore a immedesimarsi con una testa di cazzo, a fare il tifo per uno stupido razzista impenitente, a provare compassione per un figlio di puttana senza uno straccio di redenzione. La sensazione di fastidio e rigetto che un film così può dare (tanto più se in partenza viene scambiato per un altro film di Judd Apatow) non è che una sua vittoria. Schiacciante.

Ma c’è molto altro: l’incontro con il "cinema dei grandi", la fotografia di Tim Orr, il cast di comprimari d’eccezione (tra cui spiccano Aziz Ansari, un micidiale Ray Liotta e ovviamente Anna Faris), tutti (e altri) fattori che però non hanno l’effetto di stroncare la fantasia del suo regista. Che invece guida il film con una libertà quasi impensabile per un quasi-esordiente, girando e montando davvero come un forsennato (con l’aiuto del fido Zene Baker, anch’egli della scuderia di David Gordon Green) tra climax troncati e ralenti antieroici. E tirando fuori un film che è davvero una bomba, tutt’altro che inesplosa. Anche se facilissima da prendere sottogamba.


Il film non ha ancora una data d’uscita italiana*.

*l’edizione DVD americana e quella inglese sono previste a fine settembre.

Charlie Bartlett, Jon Poll 2007

Charlie Bartlett
di Jon Poll, 2007

Charlie Bartlett è una bella rottura di palle.

Era da tempo che aspettavo di vedere un film come Charlie Bartlett per poter iniziare un post con una frase simile. E si potrebbe anche chiudere lì. Si intenda, ho visto film più brutti. Anche di recente. E Kat Dennings continua a farmi molto più simpatia di quanta ne meriti. Ma pochi film mi hanno causato una spinta di insofferenza come quella che mi ha causato Charlie Bartlett. Che si riesca a rendere così vecchio e palloso un film con Robert Downey Jr. che fa il preside alcolista è ancora qualcosa che mi sorprende profondamente, ma tant’è: il film non funziona né come metafora del sistema né come romanzo di formazione – troppo sciocchino da una parte, troppo ambizioso dall’altra, e troppo inconsistente in entrambi i casi.

Punta a essere un Solondz senza graffi o un Wes Anderson senza stile, sfiorando qua e là con malcelata paraculaggine l’intero Sistema del cinema indie americano, ma finisce che gli preferiamo la dichiarata svagatezza di un Nick and Norah o roba simile. Tanto più che Anton Yelchin (nato nel 1989 ma già trentenne, praticamente un alieno oltre che man who looks like a young lesbian) ha una faccia da schiaffi epocale, e quella faccia da cazzo ve la dovrete sorbire per il 95% del film. Infatti io dopo un’oretta mi sono ritrovato a pensare ai pettirossi che cinquettano e alla crema catalana.

Volevate solo un consiglio, se recuperarlo in qualche modo, se arrabbiarvi perché in Italia (nonostante sia uscito eccome, il 30 maggio 2008) non se l’è mai cagato nessuno? Avete capito.

John Hughes R.I.P.

[goodbye]

Interrompiamo la pausa estiva per una triste notizia:
John Hughes è morto all’età di 59 anni per un attacco di cuore.

Friday Prejudice #182

[quanto cazzo è in ferie?]

Questo blog e questo blogger se ne vanno in vacanza per un po’.
Ci rivediamo tra una ventina di giorni, circa.

Vi lascio con un triplo episodio di Friday Prejudice.
Eccolo qui sotto.

Il nuovo episodio di Friday Prejudice, titoli stupidi e film di merda.
Viva l’estate. Ciao.

I love you, man, John Hamburg 2009

I love you, man
di John Hamburg, 2009

Per mettere a fuoco un film come I love you, man può essere utile prendere confidenza con la parola "bromance". Un termine ormai talmente diffuso che ci hanno costruito intorno un intero reality show, e che al cinema è divenuto non solo l’evoluzione naturale del buddy movie ma la vera colonna portante della stragrande maggioranza di molta commedia americana contemporanea – anche a posteriori. Un bromance (bro + romance) è molto semplicemente una storia di amicizia tra due maschi eterosessuali che, per definizione, non dovrebbe sfociare in un’attrazione fisica o sessuale (anche se una variante semantica sempre più diffusa nelle comunità LGBT prevede che una delle due parti sia – o possa essere – gay) ma che condivide la struttura delle classiche storie d’amore tra un maschietto e una femminuccia.

I love you, man parte da questo presupposto: di trattare l’incontro tra Paul Rudd e Jason Segel letteralmente come se fosse una tradizionale storia d’amore, con tutte le sue fasi (infatuazione, separazione e riappacificazone comprese), ma sempre all’interno dell’indiscussa eterosessualità dei due protagonisti – uno dei quali, appunto (Paul Rudd), in procinto di sposarsi si rende conto di non avere un papabile testimone di nozze perché è sempre stato un "girlfriend guy" e quindi si è ritrovato senza uno straccio di amico. Fino a che non incontra per caso Jason Segel, innescando una sorta di innamoramento parallelo a quello tra lui e la futura moglie, la luminescente Rashida Jones.

Lascerei ad altri più interessati l’osservazione delle conseguenze di un simile approccio, stando al film e non alle sue potenziali implicazioni I love you, man è una commedia davvero molto divertente, che al di là della performance di Paul Rudd – che si produce in una variante del suo ruolo in Role models, altro film recente con spiccati caratteri di bromance - ha come punto di forza palese quella di Jason Segel. Non solo perché l’attore di How I met your mother è particolarmente in forma (ben più che nel deludente Forgetting Sarah Marshall), ma perché il suo Sydney, pur rappresentando abbastanza tipicamente l’outsider che irrompe nella vita di un personaggio inquadrato stravolgendone le visioni del mondo, è scritto con adeguata sensibilità, e una sostanziale credibilità che calca più sui suoi caratteri assoluti (il look, prima di tutto) che su quelli oppositivi.

Per il resto il film funziona bene, sospetto, (oltre che per un cast di contorno molto ricco di apprezzatissimi caratteristi come Jaime Pressly, J.K. Simmons, Thomas Lennon, Aziz Ansari, Lou Ferrigno nella parte di se stesso) soprattutto per l’inspiegabile alchimia che si crea tra il terzetto di bravi protagonisti Rudd-Segel-Jones. Anche perché, a differenza di altri film coevi e "cugini", nonostante resti immancabile la componente scatologica (cacca e vomito), manca quasi del tutto sia l’acerrima e infantie misoginia che di solito fa da substrato all’ormai canonica "rivincita del loser" – anzi, il personaggio di Rashida Jones è trattato con i guanti di velluto – così come manca l’ammiccamento alla geek culture: I love you, man è un film che potrebbe essere tranquillamente ambientato in un periodo pre-myspace, e la passione di Segel per i Rush è la medesima scorciatoia malinconico-analogica di quella di Sean William Scott per i Kiss in Role models.


In uscita nelle sale italiane il 21 agosto 2009.*


*basta guardare il trailer per rendersi conto di quanto sia poco curato l’adattamento italiano: se preferite evitarvi il solito doppiaggio stracciapalle il film è già disponibile in DVD Regione 1 mentre il DVD inglese esce, guarda un po’, proprio alla fine di agosto. Io vi ho avvertiti.