District 9
di Neill Blomkamp, 2009
Nel genere fantascientifico, non è certo semplice fare qualcosa di nuovo. Forse è impossibile. Quello che si può fare, più facilmente, è prendere gli elementi e combinarli tra loro. In fondo, è quello che è accaduto con molti dei più grandi o rilevanti titoli di fantascienza da anni a quaesta parte – e District 9 non fa eccezione. Sia nella grandezza, in un certo senso, che nella rilevanza (staremo a vedere) che nell’abilità sopraffina di miscelare tra loro gli ingredienti – anche quelli che insieme sembrerebbero più incompatibili.
C’è moltissimo in District 9, ci sono mutazioni e rivelazioni uomo-macchina che sembrano uscite dal miglior Verhoeven, quello di di Robocop e Total recall, da uno Tsukamoto con meno fili e tubi e più polvere, e soprattutto da Cronenberg (non solo quello de La Mosca), ma il tutto inserito in un racconto che abbina con una maestria inconsulta, soprattutto per un esordiente-o-quasi, una narrazione che spazia da Carpenter al blockbuster e il mockumentary (e l’ironia sul salaryman) di The Office. Quest’ultimo "genere" affrontato con furbizia e con coraggio: lo si abbraccia in pieno nella prima mezz’ora e poi lo si abbandona (lo si "tradisce", suggeriva adeguatamente un commentatore), prima gradualmente ma lasciando intatta fino alla fine quell’illusione di realtà che ha fatto la potenza dell’incipit.
Perché un certo punto in poi comunque, dopo l’approccio sostanzialmente "intellettuale" della prima parte, District 9 diventa – e qui sta il bello: senza nessun senso di distacco, forzatura, "perdita" – un film d’azione scatenato, violento, rumoroso e passionale, con invenzioni visive di grande ricchezza, un ritmo senza tregua che riutilizza il gore da cinema fantabellico (ancora Verhoeven?) con un cinismo distruttivo che lascia lo spazio – e anche qui sta il bello: senza nessuna impressione di incompatibilità – all’irresistibile empatia quasi spielberghiana nei confronti di alieni-gamberi e allo slancio di improvviso, straziante romanticismo che chiude il film con la sua bellissima, tronca dissolvenza in nero.
E alla fine l’impressione è che District 9, in mezzo a tutto questo turbinio di cose, sia forse, davvero, appunto, qualcosa di completamente nuovo. E di bello, bellissimo.