Il nastro bianco (Das weisse Band – Eine deutsche Kindergeschichte)
di Michael Haneke, 2009
Una delle prima cose che ho pensato dopo Il nastro bianco è stata che di rado di recente mi è capitato di vedere una tale incondizionata dedizione al contesto: il paradosso dell’ultimo film del grande regista austriaco è proprio la frustrazione della sua natura lineare di mystery tale, la negazione di una progressione risolutiva – nonostante il film inizi proprio con un mistero da decrittare. Infatti, tale enigma rimarrà per sempre irrisolto. O meglio, lo sarà ai personaggi, non allo spettatore, omnisciente suo malgrado: Il nastro bianco è un film che fa prima di tutto entrare lo spettatore all’interno della narrazione, rendendolo parte dell’intreccio proprio perché unico (o quasi) possibile testimone della Verità.
Da qui la dedizione al contesto: anche perché la soluzione dell’enigma non esiste, perché è sotto gli occhi di tutti. Troppo orribile, vero, ma soprattutto inconsciamente impossibile da ammettere: farlo vorrebbe dire di fatto arrendersi alle proprie disperate mostruose responsabilità, di fronte ai propri figli e al futuro del paese stesso – e il fatto che i personaggi la ignorino, anzi, non la prendano in considerazione fino all’epifania di una "anima pura" (a suo modo purificata dal sentimento in un mondo che sembra aver applicato un principio di repressione in cui la parte più scoperta del gioco è la soggezione dell’universo femminile) non fa che aumentare l’angoscia dello spettatore. Sono procedimenti che Haneke ben conosce e che applica sempre con grande mestria: Il nastro bianco è un film che, con il magnifico bianco e nero di Christian Berger, sembra ricercare il distacco più totale, ma che finisce per diventare, a suo modo, quasi un ossimorico film interattivo.
L’orrore che il paese e il suo affresco nasconde può essere svelato infatti solo da ne chi conosce il seguito: perché se Il nastro bianco è un film sulle radici più cupe della cultura tedesca del novecento, una "nascita della nazione" profondamente perturbante non solo se si pensa all’annuncio che chiude il racconto ma a quel che accadrà dopo, quello costruito da Haneke è più generalmente uno sguardo sui germogli di tutto il secolo breve nell’intero continente, un film su un Novecento le cui pagine sono scritte con il sangue e le cui parole recitano discriminazione, sopraffazione, punizione. La responsabilità, come al solito, sta nei semi di menzogna, castrazione e violenza lasciati dai padri: e il futuro, anche il nostro, nello sguardo dato a un passato così lontano e a ciò a cui gli anni a venire avrebbero assistito, non potrebbe essere più nero.
Ma Il nastro bianco non è soltanto questo: la dedizione al contesto di cui si diceva non è soltanto tematica ma anche figurativa – un livello, questo, su cui il film di Haneke si pone invece più semplicemente tra i risultati più alti delle ultime stagioni cinematografiche. Non soltanto la già citata stupefacente fotografia, ma tutta una messa in scena, sintetica, algida e crudele, che porta con sé l’esperienza del cinema di Haneke (per esempio sull’uso significativo dei piani lunghi, o del fuoricampo) cristallizzandola nella forma più lucida e perfetta.
bene. hanekeniano al 100 per cento allora.
will.
Dubbioso… avevo deciso di non vedere MAI PIU’ un film di Haneke, dopo glio orridi "La pianista" e "Funny games", lo trovo sicuramente il regista più pretenzioso del mondo.
Chissà…
Banjo
Bene!! non vedo l’ora
beh oddio, anonimo#2, a definire orrido funny games ce ne vuole eh.
ciao, anonimo#3
anonimo#4, scusa (adesso #5).
dio come sto male.
il bianco e nero, in astratto, rimanda al fim muto. e qui, anche se i personaggi non sono muti, è assente la comunicazione, sostituita da repressione e soprusi.
nella scatola piccola c’è la storia di violenze (mi ricorda tanto dogville) di un luogo piccolo e miope, nella scatola grande c’è la nazione neonata, la bambina bionda che crocifigge l’uccellino è una futura ss.
sto male.
è il film che fa stare male?
Non sarei così sicuro del fatto che lo spettatore "sappia". Gli si affaccia solo una possibile soluzione vertiginosa, ma nemmeno lui/noi sapremo mai se è fondata.
In principio gli attori sembrano quasi figure ritagliate nel cartone. La governante, Susanne Lothar mi pare,(che ricordavo alle prese con sgradite palline da golf) dà una strana impressione da disegno animato quando, ripresa di fianco, ci introduce in una storia dalla quale poi, misteriosamente, sparirà. L’uso del fuori campo, con la violenza mai esibita, ma solo mostrata dopo, o rivelata dall’audio, è di forte impatto, per noi che siamo ormai veramente un popolo di guardoni. Ma l’immaginazione del male si imprime molto più della mera visIone dell’atto in sé. La sospensione, l’attesa, una quiete che sta per implodere sono a mio avviso la chiave del film. E non bisogna essere dei fini intenditori d’arte per sottolineare che le immagini, spesso proprio quelle in cui gli attori sono assenti, hanno stretti legami con la raffigurazione pittorica. In più gli attori sono superbi, quasi ieratici a tratti, marmorei, e la piccola imperturbabile bambina bionda con quello stretto colleto nero è anche troppo facilmente identifiabile col futuro nazismo (questo mi è sembrato un piccolo neo) un film da rivedere, haneke va visto e rivisto, averne, di orridi così.
stefania
ne sono rimasto "contagiato", le immagini continuano ariaffiorare….
un film che scava profondissimo.
le sequenze e la regia rigorosissima (e la splendida fotografia, con quella profondità di campo…) non sono belle fini a sè stesse (come dicevano ignoranti spettatori nel cinema dove l’ho visto) ma possiedono una potenza una forza tale da riuscire a dare atmosfera esignificati densissimi
kaspar h.
Impossibile chiosare un regista di questa immensa portata in un tentativi, seppur larvale, di critica. Dinanzi ad un cinema così totale e maniacale nella cura di ogni dettaglio, si può solo testimoniare un soggettivo lascito, che vanno aldilà degli stessi intenti dell’autore. L’andamento narrativo del film, incastonato in un bianco e nero che si può solo vedere, per comprenderne l’algida maestosità, è sospeso, e in questa sospensione con cui ritrae e fissa un’epoca ci sono dei punctum visivi inquietanti, violenti ma mai espliciti. Il maligno si nasconde dietro ogni angolo del villaggio, apparentemente bianco. Il bianco è una ricerca esibita della purezza, una purezza intesa come castigo e in nome della quale si possono infliggere tremende atrocità.
chiosare. larvale. dinanzi. totale. lascito.
punctum.
questo è un film di soglie. di porte (chiuse).
E’ un film che impone il rigore allo spettatore, lo irregimenta.
Il rigore, il militarismo del villaggio si ripropone nel rigore compositivo e filmico del regista (quasi un ammissione catartica -giro come lo girerebbe uno degli abitanti delvillaggio, perchè vivo 100 anni dopo e nonostante tutti gli errori e gli orrori anch’io vengo da lì e i miei valori "potrebbero" essere quelli-
E’ un film sulla violenza e l’ottusità di un popolo che diventata l’impianto mitico di un impero (o aspirante tale).
Emblematica la figura del curato che evidentemente sa ma tace, che capisce ma non si oppone: lui è la stessa Chiesa non si opporrà ad hitler. E si sente tutta la puara di Haneke che i popoli germanici possona tornare ad essere quelli, anzi il sottile terrore che non abbiano mai smesso di esserlo
Unico appunto ad un film di altissimo livello .
I dialoghi Italiani non sempre sono all’altezza delle immagini quanto a forza , nitidezza e adesione al contesto.
Comunque Haneke é tedesco, non austriaco…
mah, direi proprio di no: Haneke è vissuto in Austria, ha studiato a Vienna, i suoi film sono per la maggior parte produzioni austriache.
è nato in germania, ma questo a mio avviso non fa di lui un regista tedesco.
ho visto solo ieri Das Weisse Band, in tedesco e devo dire che mi ha coinvolta tantissimo. A me erano piaciuti anche La Pianista e Funny games… le atmosfere sono sempre un misto di perbenismo, violenza repressa, borghesia, angoscia crescente. Il maestro e la sua futura moglie rappresentano, forse, l'unico elemento di "speranza"
ciao a tutti e complimenti per il blog
f.