ottobre 2009

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Tutta colpa di Giuda, Davide Ferrario 2009

Tutta colpa di Giuda
di Davide Ferrario, 2009

Una volta volevamo molto bene a Davide Ferrario. Gli si vuole ancora molto bene. Magari, ultimamente, un po’ meno. Essere riuscito a fare nel corso di un pugno di mesi un piccolo delizioso film come Dopo mezzanotte (e già lì so che si potrebbe discutere, ma è più forte di me) e una cocente delusione come Se devo essere sincera già non era un buon segno.

Tutta colpa di Giuda è un ritorno alla fiction che risente moltissimo dell’esperienza di Ferrario nel cinema documentario: e la cosa più interessante del film è proprio la ricercata difficoltà di tracciare una linea precisa che separi la realtà dalla finzione. Brevemente, il perché: buona parte del cast del film è composta da veri carcerati, che inscenano nel film la messa in scena di uno spettacolo teatrale. Un musical su Gesù. Meta-meta-meta. Fin qui tutto bene.

Il problema è tutto il resto: se il progetto è stimolante quanto si vuole, la parte di finzione insieme crolla irreparabilmente. Ragione principale: i personaggi sono inesistenti (persino quello centrale di Irena, anche se la Smutniak ce la mette tutta, è disperatamente bidimensionale) oppure sono delle semplici macchiette, più idee platoniche o categorie semantiche che veri personaggi. Il prete! La suora! Eccetera.

Insomma, ho capito dove vuoi arrivare, sono d’accordo, mi piace, ma non mi piace come ci sei arrivato. Si può sacrificare il cinema per i propri scopi fino a un certo punto, poi interviene il fastidio. Mica poco.

Ci sono alcune ragioni però per poter gradire davvero il film. La principale è essere dei fan dei Marlene Kuntz. Vabbè, come non detto, sarà per la prossima volta.

The brothers Bloom, Rian Johnson 2008

The brothers Bloom
di Rian Johnson, 2008


Sono contento che quello di Brick non fu un abbaglio ma un giusto presentimento: sebbene The brothers Bloom abbia i suoi bei limiti, è davvero interessante vedere come Rian Johnson sia riuscito a costruire un film à la Wes Anderson – passatemela – sfuggendo al rischio di una mimesi fastidiosa ma marchiando la narrazione con un suo ritmo tutto suo e molto particolare (anche quando significa rallentare e accelerare di continuo: una cosa che qualcuno potrà trovare ragionevolmente stomachevole) e forse persino un suo stile: è presto per dirlo?

In ogni caso The brothers Bloom è un film tanto precisetto e fighetto quanto gradevole, intellettuale e dalle ambiziosi spiccatamente eurocentriche (non solo per l’ambientazione e l’incipit jeunetiano) ma abbastanza vitale da non farsi strozzare dai suoi stessi caratteri postmoderni (la tendenza al pastiche, l’annullamento della Storia) e Johnson ha un grande talento, anche se esce più in isolati pezzi di bravura (per esempio, la Weisz che mostra il suo talento con le carte: ci vuole così poco per fare una sequenza da antologia?) che non nell’insieme, in cui viene aiutato soprattutto dalla bravura del cast – che, per la verità, pecca un po’ di overacting, ma ne riguadagna in charme. Soprattutto la Weisz, appunto: nel bene e nel male.

La cosa migliore del film è comunque Rinko Kikuchi nel silenzioso ruolo di Bang Bang: anche lì, sono contento che quello di Babel non fu un abbaglio ma un giusto presentimento.

Il film non ha ancora una data di distribuzione italiana. Nel frattempo però nei mesi scorsi, Brick è uscito in DVD in Italia con un sottotitolo imbarazzante che lo lancia immediatamente nei cestoni tutto a 5 euro dei supermercati et similia.

Mostri contro alieni, Rob Letterman e Conrad Vernon 2009

Mostri contro alieni (Monsters vs Aliens)
di Rob Letterman e Conrad Vernon, 2009

Messi da parte i discorsi per cui questo film mi è sempre sembrato arrivare un po’ in ritardo (non devo certo spiegare perché) e quelli per cui l’investimento della Dreamworks in quest’opera è sempre parso di tipo tecnologico più che altro (è il primo film d’animazione computerizzata a essere stato creato già in 3D stereoscopico e non convertito a posteriori, il che significa moltissimo, non solo da un punto di vista tecnico ma anche artistico e di direzione presa dal mercato dell’animazione), che cosa resta del film in sé?

Posto il gap artistico irrestringibile con la Pixar a fronte di identici budget (questo film è costato esattamente quanto Up! e circa quanto WALL-E), l’impressione è che quelli della Dreamworks ci abbiano fatto ormai il callo e prendano altre strade, in direzioni più tradizionalmente spettacolari così come più solitamente caciarone. La buona notizia però, a fronte di ciò, è che non va più male come una volta: questo è un passetto indietro rispetto a Kung fu Panda ma non si può dire che sia fastidioso come Madagascar, è abbastanza noiosetto e prevedibile (anche se la carta del deja-vu fa parte del gioco), ma con un pugno di personaggi divertenti.

Quanto basta per fargliela passare, insomma, ma punto. Un piede dietro la linea, l’altro sulla linea: occhio. Anche se c’è Stephen Colbert che doppia un presidente degli Stati Uniti dichiaratamente modellato su di lui, e sono cose.

L’altra buona notizia è invece che il citazionismo sparso nel film non è certo roba per ragazzini con l’acne, non regna più sovrana la tv tra i riferimenti pop-culturali ma un parco-film da polveroso cinefilo d’antan: i quattro "eroi" non sono che un rip-off di quattro classici della fantascienza anni ’50: Il mostro della laguna nera, L’esperimento del dottor K., The Blob e Attack of the 50 Foot Woman, più un insettone che sembra uscito da un film di Ishiro Honda e tutta una sequenza (quella davvero un po’ troppo sciocca e dreamworksiana) che si rifà a Incontri ravvicinati di Spielberg. Insomma, all’adolescente brufoloso e teledipendente viene lasciata la parte meno stimolante, semmai qualche volo pindarico sull’enorme vagina di Ginormica. Vaginormica.

Personalmente ho riso molto, per ragioni tutte mie, quando Gallaxhar grida "Spaceballs!".

Purtroppo, per quanto mi riguarda, vedere in due dimensioni un film che è stato creato in tre mi fa la stessa impressione di vedere in 4:3 un film girato in 16:9. Ma via, ce ne faremo una ragione.

Friday Prejudice #188

[mi chiamo Nick Colasanti]

Ecco il nuovo episodio di Quentin Friday Tarantino Prejudice.

Basta che funzioni, Woody Allen 2009

Basta che funzioni (Whatever works)
di Woody Allen, 2009

"I’ve seen the abyss"
"Don’t worry, we’ll watch something else"

All’inizio del film, rivolgendosi al pubblico (abbattere la quarta parete è stato spesso un elemento caratterizzante del cinema di Woody Allen, da Io e Annie a La rosa purpurea del Cairo), il protagonista avverte il pubblico: "if you’re one of those idiots who needs to feel good, eh, go get yourself a foot massage". E come da copione, quello che Allen ottiene è esattamente l’opposto: Whatever works, senza rivelarvi il perché e il come, è alla fine una delle cose più rasserenanti e sanamente liberatorie che vi possa capitare di vedere in sala di questi tempi. Cosa gradita. Predica bene e razzola male: un modo perfetto per aprire chiudere a cerchio il suo circa-quarantesimo film.

Sapere come il film è nato, ovvero da una sceneggiatura scritta e accontonata 30 anni fa, ai tempi di Manhattan, dice già molto: qui siamo in pieno e incontrastato territorio alleniano, un ritorno nel brodo newyorkese ancora caldo – come se non l’avesse mai abbandonato. Ancora una volta con una fiducia (quasi una fede) e uno spirito incondizionato e positivo nei confronti della Grande Mela – e per questo lo script (che anticipa anche figure di film che sono venuti nel frattempo come l’ipocondriaco Allen in Hannah e le sue sorelle) funziona ancora così bene dopo così tanto tempo: perché nei suoi occhi New York non è mai cambiata, né gli angoli delle strade, né i personaggi che la popolano, né i rapporti sociali tra di essi, né soprattutto la capacità (persino taumaturgiche) della Città.

Mi spiace essermi soffermato poco sul fatto che Whatever works, oltre a tutto ciò, è anche un gran bel film. Ma do per scontato che non ce ne sia bisogno.

Nota: ho avuto la fortuna di assistere, in una sala milanese, alla versione originale sottitotolata. Visto quel che ho sentito del doppiaggio, vi consiglio di cercarne una anche voi. Come sempre, ne vale la pena.