Tutta colpa di Giuda
di Davide Ferrario, 2009
Una volta volevamo molto bene a Davide Ferrario. Gli si vuole ancora molto bene. Magari, ultimamente, un po’ meno. Essere riuscito a fare nel corso di un pugno di mesi un piccolo delizioso film come Dopo mezzanotte (e già lì so che si potrebbe discutere, ma è più forte di me) e una cocente delusione come Se devo essere sincera già non era un buon segno.
Tutta colpa di Giuda è un ritorno alla fiction che risente moltissimo dell’esperienza di Ferrario nel cinema documentario: e la cosa più interessante del film è proprio la ricercata difficoltà di tracciare una linea precisa che separi la realtà dalla finzione. Brevemente, il perché: buona parte del cast del film è composta da veri carcerati, che inscenano nel film la messa in scena di uno spettacolo teatrale. Un musical su Gesù. Meta-meta-meta. Fin qui tutto bene.
Il problema è tutto il resto: se il progetto è stimolante quanto si vuole, la parte di finzione insieme crolla irreparabilmente. Ragione principale: i personaggi sono inesistenti (persino quello centrale di Irena, anche se la Smutniak ce la mette tutta, è disperatamente bidimensionale) oppure sono delle semplici macchiette, più idee platoniche o categorie semantiche che veri personaggi. Il prete! La suora! Eccetera.
Insomma, ho capito dove vuoi arrivare, sono d’accordo, mi piace, ma non mi piace come ci sei arrivato. Si può sacrificare il cinema per i propri scopi fino a un certo punto, poi interviene il fastidio. Mica poco.
Ci sono alcune ragioni però per poter gradire davvero il film. La principale è essere dei fan dei Marlene Kuntz. Vabbè, come non detto, sarà per la prossima volta.