The Killer Inside Me
di Michael Winterbottom, 2010
Ho visto The Killer Inside Me un paio di settimane fa ma non credo di avere molto da dire. Mi è piaciuto, anche se con le dovute riserve. Per dare un po’ di aria alla stanza, per l’occasione ho pensato di invitare a discuterne qui due amici blogger che la pensano in modo molto diverso sul film di Winterbottom: Giorgio AKA JunkiePop e Mattia AKA TobWaylan. Modera il sottoscritto, facendo meno fatica possibile.
Di cosa parla The Killer Inside Me? Raccontamelo.
JP: l’apice di una dissoluzione morale a cui solo l’essere arruolato nelle forze dell’ordine (dato che Casey Affleck, il protagonista, è uno sceriffo) conferisce uno scudo, una scusa per nascondersi.
TW: The Killer Inside Me principalmente tratta della violenza nascosta nell’ordinario e di come questa, una volta risvegliata, porti ad una lenta ed inesorabile disgregazione della normalità. Poi dovrebbe parlare anche dei meccanismi perversi di una mente criminale ma qui la sceneggiatura non riesce a valorizzare il nichilismo di Thompson (autore del romanzo) finendo di mostrare degli avvenimenti sì inesorabili ma anche privi di una vera e propria ragione.
La fotografia ha un ruolo molto importante nel film.
JP: io amo la fotografia di Stephen Shore, l’ho rivista parecchio in molte inquadrature. Non dico che sia stata ispirata, ma la compressione dei colori nell’apertura di spazi acuisce il senso di claustrofobia e violenza del tutto. Insomma sembra quasi cercare di costringere un mare in un bicchiere.
TW: la fotografia è quella che ci si potrebbe aspettare da un film ambientato negli anni ’50: desaturata come una vecchia fotografia e tanto rosa per opacizzare il tutto. Bella, non si può dire il contrario.
Winterbottom è un regista talentuoso ed eclettico o un cinico furbetto?
JP: Winterbottom ama disturbare col suo cinema, siamo passati dai suicidi di Jude alle trombate di 9 songs a Guantanamo. Il cinema di Winterbottom è questo, l’elemento di disturbo che rende la storia ad un livello ancora più profondo. A molti irrita, io lo trovo coerente.
TW: Winterbottom qui pecca di troppa sicurezza, forse accecato da un soggetto così imponente decide di eliminarsi e farsi schiavo di una sceneggiatura macchinosa (e schiava anch’essa, praticamente un macchinoso riassunto del libro, con battute citate paro paro) sicuro che le cose sarebbero andate bene lo stesso. Quel che io ho visto è stata una regia piatta e inesistente, priva di quella personale visione che differisce una trasposizione cinematografica dalla fredda illustrazione.
E Casey Affleck?
JP: quella di Affleck (è la seconda volta che fa un Ford bastardissimo) è la classica interpretazione che col senno di poi verrà giudicata sontuosa. L’altro lato di Robert Ford, se vogliamo metterla così, quello trovava alibi alle proprie bugie, questo ci rinuncia praticamente, mette le forze dell’ordine quasi di fronte al proprio io. A me ha ricordato parecchio il Volontè di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
TW: per fare il pazzo psicopaticato Casey Affleck è perfetto, forse troppo in questo caso. Sarebbe stato più giusto un attore dal fare più ordinario ma non mi lamento.
Il film mi è piaciuto, quindi sono più vicino al parere di JP. Ciò che mi ha convinto meno è invece il modo didascalico con cui si abbozza una lettura psicanalitica del personaggio. In particolare, c’è una scena in cui Affleck guarda lo scaffale dei libri, ci sono la Bibbia e L’interpretazione dei Sogni di Freud, uno accanto all’altro. Affleck prende in mano la Bibbia e trova tra le sue pagine un complesso edipico grosso così.
JP: ma secondo me in film come questo che osano il passo più in là per colpire lo spettatore il ritorno alla didascalia attenua gli effetti e riconduce la trama e i personaggi a una giusta comprensibilità. Metti Il nastro bianco di Haneke, ugualmente didascalico dall’inizio alla fine ma con una funzione di “paletto” della trama.
TW: Manco me lo ricordavo sto passaggio. È una chiara metafora di come la Bibbia sia il male originale.
Si è parlato molto delle scene di violenza nei confronti dei personaggi femminili.
JP: torno al Winterbottom disturbante. Levi pompini e trombate a 9 songs cosa rimane? Il suo cinema è questo, è parte fondamentale, quasi insostituibile in gran parte della sua cinematografia. Non solo questo, la violenza era parte cruciale dell’iter narrativo. Su American Psycho scusate, poi, per caso si facevano carezze con margheritine? Dipende cosa trasponi e chi lo traspone.
TW: polemizzare sulla violenza e urlare alla misoginia vuol dire non aver capito nulla di quello che il film vuole raccontare. In generale il post-femminismo è il male e non ce ne libereremo mai.
È arrivato il momento di convincere i lettori.
JP: Andateci e non voltatevi nelle scene fondamentali, se perdete quei 3/4 minuti perdete il cuore del film. The killer inside me è un film raro, e non intendo con questo dire sia un capolavoro, ma un film concreto, sostanziale e soprattutto scritto come poche altre cose in quest’anno.
TW: The Killer Inside Me è un film privo di personalità dove Jessica Alba è più cagna del solito e tutti gli altri attori a parte Affleck sembrano macchiette. Non voglio convincervi a non vederlo, voglio convincervi a risparmiare quei 5 / 7 euro di biglietto ed investirli nel romanzo (e non fatevi fregare dalla nuova edizione post film da 16 euro, si trova dagli 8 in giù) per poi vedervelo a gratis facendovi prestare il DVD e capire cosa non bisogna fare quando si ha in mano un dannato capolavoro. Se poi in questo modo scoprirete Jim Thompson, ancora meglio.