Tra le nuvole, Jason Reitman 2009

Tra le nuvole (Up in the air)
di Jason Reitman, 2009

Una delle doti principali del terzo film di Jason Reitman, la più evidente, come già in molti hanno sottolineato, è quella di essere assolutamente cosciente dello spirito del tempo: una caratteristica che aggiunge immediatamente maturità e umanità a un regista interessante che fino a ora era forse ancora in cerca della sua personalità, come i personaggi dei suoi film. In tal senso, Up in the air è la fusione perfetta dell’arguzia "politica", tra virgolette, di un film come Thank you for smoking e dello sguardo più intimo di Juno – due caratteri che comunque già sapevano convivere nei film precedenti, l’uno nascosto tra le pieghe dell’altro.

Ed è proprio nella coesistenza di questi due elementi che risiede il segreto del successo del film – uno di quelli che sembrano indirizzato a due pubblici diversi ma che, per una volta, finisce per soddisfarli entrambi – e forse anche l’impronta stilistica, l’attesa marca del cinema di Reitman. Se Up in the air va insomma in una direzione chiara, inquadrare un film di personaggi e di "scrittura" all’interno di un preciso, trasparente e anche abbastanza spietato contesto di recessione economica, né l’interesse sociologico né quello più tradizionalmente narrativo sembrano lottare per avere la meglio. E il film finisce per essere moltissime cose, ben più che un film sul mondo del lavoro o una commedia amara: parla dell’America di oggi, del sua solitudine e della sua incertezza, di obiettivi, sogni e ossessioni, e della redistribuzione della felicità.

Ma al di là di queste considerazioni, la forza di Up in the air si trova anche nell’eccezionalità dei suoi elementi, quelli sotto gli occhi di tutti, a prescindere dalla loro composizione: tre performance eccezionali, una regia precisa, presente senza protagonismi, e soprattutto una sceneggiatura davvero bella e intelligente, impreziosita dai dialoghi, spesso incredibili, ma soprattutto dal coraggio di affrontare il difficile peso della realtà. Quella in cui le cose non vanno sempre nella direzione sperata. Ma, qualche altra volta, sì.

21 Thoughts on “Tra le nuvole, Jason Reitman 2009

  1. (rileggendolo, il post sembra molto più entusiasta di quanto io non sia in realtà. dico che la maggior parte delle cose che ho scritto sono considerazioni, non tanto giudizi di merito. ecco. comunque il film è bello eh.)

  2. Aggiungerei un ANNA KENDRICK FTW.

  3. Sì, davvero. Ma anche Vera Farmiga eh, wow.

  4. Questa recensione fa il paio con quella di Julia &Julia e chi ha orecchie per intendere intenda…

  5. utente anonimo on 4 febbraio 2010 at 18:39 said:

    giusto per informazione, vera farmiga ha scelto una controfigura per le scene di nudo.

  6. utente anonimo on 4 febbraio 2010 at 20:51 said:

    Ma dovendo fare una classifica dei 3 film di Reitman cosa scriveresti??

  7. vogliamo elencare tutti i film recenti dove attrici anche più giovani hanno usato una controfigura per le scene di nudo all’insaputa dei maschi in adorazione?
    Devo dire che a quanto ho letto in giro nei commenti si parla più del culo doppiato dell’attrice che del film. E il film non è quella cosa così brutta come si sente dire in giro.

  8. "e il film non è quella cosa così brutta come si sente dire in giro"

    Ehm, dove?

  9. #6: boh, a parer mio non saprei, ma così a naso questo è il suo migliore.

  10. Beh, in giro dalle mie parti. ^^
    Mi riferivo più che altro ad alcuni critici nostrani e a qualche opinione letta in giro.

  11. "e il film non è quella cosa così brutta come si sente dire in giro"
    Concordo con lo stupore di Kekkoz per questa affermazione di Souffle. Anche perché io direi esattamente il contrario. ^^

  12. @souffle: vedi, ecco perché non leggo i critici nostrani *wink*

    @udp: PFFT*

    *fattene una ragione

  13. top five dei lavori del XXI secolo. #1 selezionatore controfigura culo vera farmiga

  14. utente anonimo on 5 febbraio 2010 at 04:00 said:

    personalmente sono di quelli che pensa tutto il brutto di quello che si dice in giro. è vero che i film vorrebbe parlare di molteplici cose ma a mio avviso non ci riesce assolutamente. non riesce nell’intento di far riflettere se no per quello che ne traspare superficialmente e , per quanto mi riguarda, le trovo dannatamente banali. e non certo per il finale che, se non fosse finito cosi’ sarebbe stat assai peggio la mia considerazione totale. Il messaggio di che ne esce sulla società lavorativa e sull’amore che serve nella vita li trovo dannatamente scontati. Clooney fa la parte di Clooney risultando simpatico ma sotto sotto , poi, profondo. Una prova da mestierante . Ha fatto davvero molto di meglio! Juno era di certo un opera molto più fresca anche se molto ammiccante ma almeno non si nascondeva dietro qualcos’altro. Qui si parla di un film che a un certo punto sembra perdersi per poi cercare di ritrovarsi in molteplici facce non riuscendoci.

    Ovviamente questo secondo me.

    vespertime.

  15. a mio parere invece il film non vuole fare riflettere sulla crisi del lavoro nè sui licenziamenti per interposta persona.
    A riflettere sulla "bruttura della società" ci pensano bene i film "drammatici" a volte con uguale ambiguità e ruffianeria (Mendes).

    Qui ci troviamo davanti a una commedia tradizionale "ragazzo incontra ragazza" dove l’aspetto sociologico è lasciato fuori dall’inquadratura.
    Quello che ho trovato più interessante è vedere la storia di un uomo che vive la sua vita tenendo contatti superficiali con gli altri senza nessuna voglia di impegnarsi "sentimentalmente" (che si tratti di amicizia o di amore) e che crede solo nella fedeltà dei punti premio e delle carte fedeltà, appunto, che, per "colpa" di una donna si ritrova a dover pensare ad una alternativa possibile (vita borghese tradizionale, orrendo matrimonio, come quello della sorella girato volutamente in modo sciatto) e finisce per ritornare a fare la vita di prima che forse è quella che veramente gli piace fare.
    Il coro borghese interpretato da quella ingenua antipatica della collega gli dice: "non ti vuoi sposare? Non vuoi avere figli? Sei strano".
    (che poi se ci pensiamo è forse quello che vuole davvero Clooney, che finora non si è sposato e non ha manifestato l’idea di volere figli).

    DIciamo che Reitman non osa fino in fondo: la scelta del personaggio di Clooney di chiudere il viaggio dell’eroe e tornare da dove era partito è dovuta alla delusione amorosa, non a una scelta consapevole, sembra quasi un ripiego.
    Ma credo di avere colto un senso di sollievo alla fine del film nel nostro eroe. In fondo lui si rende conto, che così come ci sono persone fatte per la famiglia-casa-figli, ce ne sono altre che amano stare su un aereo e dormire fuori casa per 320 giorni l’anno.

    Poi possiamo discutere della scarsa originalità di Reitman su come girare le scene, sul suo uso dei luoghi comuni, ecc.
    Ma direi che la questione "sociologia del licenziamento" possiamo buttarcela alle spalle o caricarla su quelle pesanti di Michael Moore.

  16. No, Souffle, non sono d’accordo. L’elemento sociologico Reitman l’ha ben evidente e lo carica tutto sulle spalle del film che quindi non ha mai la forza di essere una pura (e giusta) commedia "boy meets girl" (direi anzi che Reitman non ha il coraggio di farne una commedia perché non crede nella pura forza della commedia). L’elemento sociologico non solo invade l’inquadratura (i non-luoghi? ok, Reitman l’abbiamo capito, smettila di inquadrarli in CONTINUAZIONE) ma inonda i dialoghi (una continua sottolineatura del presunto "messaggio" del film soprattutto negli scambi tra l’ottimo Clooney e la brava ma troppo querula Anna Kendrick) e manipola narrazione e personaggi (il brusco ed esagerato cambio di tono della Farmiga nella telefonata finale è un elemento ad uso e consumo della tesi che si sta sostenendo), che è la cosa che trovo più detestabile. Sorvolando poi sul fatto che tutta la discussione sulla disoccupazione e sulla devastazione psicologica che comporta è molto meno interessante di quanto sembri, afflitta dal solito familismo facilone di Reitman (vedi incipit e chiusura, per essere molto sintetici: "Sono disperato, ho anche una famiglia da campare e a cui rendere conto"/"Sono disperato ma almeno io ho una famiglia che mi scalda il cuore e tu no, tiè"). Per non parlare dell’ovvietà media di riprese, delle solite strimpellate indiefolk sulle inquadrature del ritorno in provincia, della bruttezza della sequenza del "party di lavoro"). Qualcosa di buono c’è (le coreografie al check-in, il "finto" licenziamento a distanza con l’uomo dalla’altra parte del vetro) però è davvero un po’ poco. Le tue ipotesi sul personaggio Clooney non allineato al modello esistenziale/familiare vigente sono interessanti ma per niente supportate da Reitman il cui conformismo cacciato (apparentemente) dalla porta rientra dalla finestra.

    Kekkozuccio, ovvio che me ne sono fatto una ragione e al tuo birbante PFFT rispondo con un adescante SLURP! ^^

  17. nonostante le tue considerazioni, che accolgo e medito perchè come sempre scritte molto bene, non sono convinto.
    Per quanto accolga le tue riserve sulle qualità di direzione di Reitman, che rimangono abbastanza basse.
    Il discorso sulla disoccupazione non è "meno interessante di quanto sembri", proprio non è interessante. 
    L’elemento sociologico che invade il film a mio parere è semmai lo spostamento di prospettiva che si apre nella vita di un uomo che aveva una esistenza costruita sulla affidabilità delle merci e dei servizi e la fedeltà comprata coi punti premio, e gli si presenta la possibilità di recuperare una serie di valori familiari "veri" a poco prezzo e senza garanzie di uguale soddisfazione.
    Più che sapere che ne sarà delle persone licenziate o del cambio di modalità lavorative di Clooney (licenziamenti via webcam) ci interessa sapere se questo personaggio cambierà rotta o meno.
    Però trovo bello che molte delle cose che dici le trovo anche in Alessandro, che però gli ha dato 7. ;-)

    Infine, parlando di conformismo, quanto era conformista American Beauty? Era girato meglio? Ecco, dobbiamo dire che probabilmente quando i film conservatori e conformisti sono girati in modo accettabile o addirittura buono, si sente meno la moneta falsa con cui sono fatti. Questo non li rende meno conformisti purtroppo (vedi 500 giorni insieme, il nuovo conservatorismo teen).

  18. Frà, a TE (e anche a me, in fin dei conti) interessa sapere se il personaggio di Clooney cambierà rotta o meno, Reitman fa solo finta di interessarsene per voler fare invece l’engagé (e intrappolare tutto il film in questa maglia senza dargli il respiro che questa storia meritava).
    E sì, "American Beauty" secondo me era girato meglio. E che un film sia girato meglio per me vuol dire molto, non è il semplice rivestimento della stessa moneta (sorvolando sul fatto che in "American Beauty" il cinismo imperante veniva via via sgretolato, ma non totalmente, dalla coscienza dello sgretolamento di vecchi valori che non perché vecchi non sono validi; una cosa è il conservatorismo, che non rigetto pregiudizialmente, una cosa il conformismo che puzza di stantio da subito).

  19. Un film piatto, a tratti noioso, a tratti _quasi_ divertente.
    Non ci tornerei a vederlo, non lo rivedrei in dvd.
    Mi annoierei ancora di piu’.

  20. utente anonimo on 10 febbraio 2010 at 15:35 said:

    condivido il giudizio di kekkoz ALP

  21.  Amo questo genere di films. Ben scritti, girati e recitati. Reitman oltre che ottimo sceneggiatore si conferma anche un eccellente regista. Già in Juno aveva dato sfoggio delle sue qualità, costruendo un film gravido di contenuti e tematiche forti, trattati con leggerezze e ironia, senza però  svilirne il significato drammatico. La stessa operazione gli è riuscita con tra le nuvole, che a confronto con i polpettoni alla avatar, ci restituisce un cinema pensato e comunicativo. Un cinema che non inebetisce i sensi con effetti speciali frutto di investimenti economici spaventosi, ma che ci restituisce il gusto di ammirare una pellicola girata ad arte, e allo stesso ci impone di riflettere sulla vita e la sua drammatica quotidianeità; senza però privarci dell’afflato tragicomico dell’esistenza da cui è pervasa tutta l’opera, fino ad ora eccellente, di Raitman.

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