Happy Family
di Gabriele Salvatores, 2010
[questo post non è inedito ma è già stato pubblicato in forma di articolo su SKY.it e lo ripropongo anche qui, con poche modifiche, per semplice pigrizia: perché dover trovare altre parole per finire a dire la stessa cosa?]
Uno dei caratteri fondamentali del cinema di Gabriele Salvatores è quello di essersi quasi sempre voluto discostare, pur rimanendo all’interno di un’ottica commerciale destinata al grande pubblico, dai percorsi canonici del cinema italiano. Il suo nuovo film, che si intitola Happy Family, non fa eccezione: si tratta sì di una commedia, un genere coltivato dal regista in passato ma poi abbandonato, ed è senza dubbio radicata nella tradizione italiana. Ma, ammette anche il regista (e si vede, eccome), il film vuole essere "un ponte" tra questo pesante lascito e la commedia d’autore americana, dalle famiglie disfunzionali di Wes Anderson alle cerebrali sceneggiature metacinematografiche di Charlie Kaufman.
E non è una missione da poco, quella di Happy Family: un film che da lontano potrebbe dare l’impressione di una commedia tradizionale e familiare (in entrambe le accezioni) ma che, ce ne accorgiamo subito, sembra più un trattato pirandelliano su autore e personaggio. Il protagonista, intepretato da Fabio De Luigi, si presenta infatti come uno scrittore all’opera su una sceneggiatura di un film i cui protagonisti, i membri di due famiglie milanesi, si presentano a loro volta, uno per uno, sguardo in macchina, allo spettatore. E nelle cui vicende, messo alle strette dai suoi personaggi, dovrà trovare posto l’autore stesso.
L’alternarsi continuo di statuti di realtà è un rischio che Salvatores affronta con spudorata schiettezza e voglia di sperimentare, decidendo di giocare fino in fondo, arrivando a immaginare di mollare Happy Family a metà, con un finale aperto, di "quelli che piacciono ai critici" (sic). Forse non agli spettatori? Sicuramente non ai suoi personaggi. Che infatti si ribellano, e lo spingono a chiudere la partita. E in questa schermaglia tra realtà e scrittura, tra vita e teatro (il film è tratto da una pièce di Alessandro Genovesi, che qui diventa sceneggiatore insieme allo stesso Salvatores), è importantissimo il ruolo che assume la città di Milano. Anch’essa, un tempo ambientazione favorita dal regista per le sue storie e poi abbandonata.
Una Milano che ha due facce, in Happy Family, e due anime: la prima è un costruita, "falsa", rappresentata, è il set di cartone, colori sgargianti e angolazioni surreali su cui si muovono le vicende dei personaggi. La seconda è quella dell’inserto in bianco e nero che Salvatores, con sprezzo del pericolo, inserisce a metà film, accompagnandolo con le note di Chopin, alternando i tasti monocromatici del pianoforte alle guglie del Duomo e alle strisce pedonali. Un "notturno milanese" che suona quasi come un film nel film, un omaggio tardivo che fa pulsare per qualche minuto nel petto del film una vibrazione neorealista. Per poi tornare sulla scena.
Ma Happy Family, film enormemente ambizioso e insieme estremamente lieve, caratterizzato da una cura artistica e produttiva assolutamente superiore alla media (impareggiabili la fotografia di Italo Petriccione e le scenografie di Rita Rabassini), ha un’altra freccia al suo arco, ultima ma non certo meno importante: fa ridere. Specialmente nei ritrovati duetti tra Diego Abatantuono (irresistibile) e Fabrizio Bentivoglio, in una sorta di malinconica reunion dei tempi del bellissimo Turné. In fondo, è una commedia. Missione compiuta.
Ho visto il trailer tempo fa e non mi aveva convinto molto. Vado a vederlo solo perchè per te è "Missione compiuta"
Beh, il trailer era brutto.
oddio che lirica sleccazzata, da te non me l'aspettavo…
Mi hai quasi convinto, proverò a vederlo. Ma di fronte a questo post chilometrico, le quattro righe sul Profeta gridano vendetta!
MissV
be' a volte l'assoluta bellezza (o quasi) non ha bisogno di troppe chiacchiere. è lì, davanti a tutti, inutile girarci intorno (io è qualche giorno che cerco le parole giuste, e non sono neanche al giudizio massimo come kekkoz).
questo film è una vera porcheria!
bellissimo.
erano anni che Abatantuono non mi faceva ridere così.
«Uno dei caratteri fondamentali del cinema di Gabriele Salvatores è quello di essersi quasi sempre voluto discostare, pur rimanendo all'interno di un'ottica commerciale destinata al grande pubblico, dai percorsi canonici del cinema italiano». Perché si è sempre pesantemente appoggiato ai percorsi canonici di altri registi, restando in ogni caso sulla superficie. In questo caso wesandersoneggia in maniera imbarazzante.
Maria Sung
L'omaggio a Anderson è decisamente troppo presente. Insistito. Smaccato. Che lascia un po' intuire la mancanza di idee proprie. L'adolescente complessato, a parte il fatto di essere interpretato male e di avere comunque delle battute ininterpretabili, è un imbarazzante minotauro tra Max Fisher e the Baumer. Simon and Garfunkel, così sbandierati, sono una banalizzazione delle ricercatezze musicali di WA ("ormai non li ascolta più nessuno"…certo…ti piacerebbe…in realtà ho l'impressione che ripescare qualcosa come i Love, gli Zombies o anche solo i Kinks è troppo sforzo e troppo rischio.) Niente di male, ma qua non è sperimentazione, è riproposizione di stilemi altrui. L'ultimo Corsicato, ad esempio, cercava effetti simili alla commedia a la Anderson, ma con idee e risultati più personali.
Gli innesti pirandelliani non migliorano le cose e rielaborano l'Abatantuono di Nirvana. E danno un po' l'impressione che non si riesca a descrivere un personaggio senza che questo si descriva in prima persona.
Però fa ridere esattamente nel modo in cui faceva ridere il primo Salvatores. Questo è buono.E lo sguardo su milano è in effetti ben riuscito.
Posto che è meglio un brutto film di – tipo – Tim Burton del miglior film di Salvatores, occorre dire che il film di quest'ultimo fa veramente cagare come solo un film di Salvatores sa fare. Quanto alla trovata (?) metalinguistica, ci aveva già provato in Nirvana con risultati altrettanto patetici. Non apriamo il capitolo attori, visto che da queste parti ci si permette di sindacare le performance di – tipo – Johhny Depp. Non siamo (congiuntivo) ridicoli, su.
Benvenuto nel mondo dei post ripubblicati!
a parte il tenutario del blog (che ha scritto la sua imbarazzante marchetta), ma voi ci andate sul serio al cinema a vedere un film con Diego Abatantuono, Fabio De Luigi, Carla Signoris et al.? Non ci credo. Anzi, non voglio proprio crederci.
Se è un bel film, eccome. E questo è un bellissimo film!
A me il film è piaciuto. Ho apprezzato molto gli attori De Luigi, Abatantuono, Bentivoglio su tutti. Molto particolare e ben rifinita la scenografia. Bellissimo l'intermezzo in bianco e nero dedicato a Milano sulle note di Chopin. L'unica pecca che posso fare al film sono le due scopiazzature piuttosto manifeste: la prima al cinema di Wes Anderson (dai Tenenbaum a Steve Zissou) di cui il film di Salvatore sembra un pò una sottomarca (seppur con una certa dose di stile); la seconda peraltro dichiarata sulla sequenza finale rispetto a I Soliti Ignoti.
Un opinione da Kekkoz: ti è capitato di leggere l'intervista a Salvatores sull'ultimo Duellanti?
Intervistatore: mi pare ci siano dei punti di contatto con i Tenenbaum
G.S.: Credo ci possa avvicinare la ricerca compositiva e il tipo di comicità. Anche il modo di guardare gli animali e gli oggetti è simile. Alla costumista continuavo a ripetere che il nostro doveva risultare un film un po’ dandy, che avremmo dovuto curare in modo particolare i vestiti. Un altro punto in comune con Wes Anderson. CERTO SI TRATTA DEL RISULTATO DI UN PROCESSO INCONSCIO,ma è un regista che mi piace molto, anche per il suo modo di essere distaccato.
Non ci fa una gran figura, a mio parere.
Manute
infatti, pessima, avesse una goccia del talento di anderson.