Crazy Heart
di Scott Cooper, 2009
Avete letto da ogni parte, almeno, a me è capitato decine di volte, che Crazy Heart è uguale a The Wrestler. Non è del tutto vero, anche se le somiglianze, soprattutto da un punto di vista narrativo, sono innegabili, direi palesi. Ciò nonostante, questo non conta granché nell’ottica del giudizio sul film, e non soltanto perché si tratta di riferimenti abbastanza tipici – o archetipici, fate voi.
Quello che conta è che Cooper riesca o meno a portare a casa un film sommariamente bello affidandolo dichiaratamente, più per umiltà che per inettitudine, nonostante si tratti di un’opera prima, quasi completamente nelle mani di Jeff Bridges e sulle spalle del non notissimo direttore della fotografia Barry Markowitz. E ci riesce, con tutti i limiti del caso, proprio perché le immagini, con una ricchezza di panorami e campi lunghi da classicone, e la recitazione dell’enorme, davvero enorme Bridges (una performance da Oscar, quasi per antonomasia) vanno di pari passo nella ricerca di un respiro ampio e rilassato che faccia da controcanto adatto alle musiche di Stephen Bruton e T-Bone Burnett. Anch’esse molto più centrali e vitali di quanto non sia il soggetto stesso.
In tal senso, alla fine, Crazy Heart, con tutte le sue risolte tentazioni di medietà, rischia di passare un po’ per un veicolo, per un mezzo di trasporto di questo o quest’altro elemento, più che per un film formato e definito, e infatti fatica a tratti a trovare una vera ragione d’esistere che vada oltre la considerazione della sua riuscita, che superi i cento minuti lasciando qualcosa. Per dire, qualcosa di cui scrivere, ora. Ma tutto sommato, va bene anche così, no?
e per Maggie nemmeno una parolina ? CATTIVO !!!
va bene.. grande piccolo film.