Cosa voglio di più
di Silvio Soldini, 2010
Storia d’amore tra un uomo e una donna che tradiscono avventatamente, trascinati dall’inevitabilità della passione, sullo sfondo di un paese e di un presente ossessionati dal denaro, o meglio, dall’assenza di esso: Soldini insiste a raccontare il modo in cui si guardano in faccia la precarietà sociale e la precarietà dei sentimenti, e lo fa trasferendo una "storia di corna" piuttosto tipica anche nei suoi "movimenti" in un contesto sociale altro e ben preciso, lontano dai vezzi borghesi e più vicino alle zone residenziali fuori dalla città.
Si fa parecchia fatica, durante il film: forse perché Cosa voglio di più è molto, troppo, inspiegabilmente lungo, e perché la prima metà del film, quella che segue il personaggio di Alba Rohrwacher, si muove in modo disagevole tra la tensione emotiva e una costruzione del contesto appunto inusuale ma abbastanza superficiale. Dopo l’intelligente trovata del controcampo narrativo invece, quando si comincia ad abbracciare il punto di vista di Pierfrancesco Favino, Cosa voglio di più comincia a tirar fuori le armi più efficaci. Che sono quasi tutte davanti alla macchina da presa: i due bravissimi interpreti, prima di tutto, grazie alla cui naturalezza Soldini si riconferma non solo buon sceneggiatore ma anche ottimo direttore d’attori – comprimari compresi; oppure la regia, in cui lo stile documentario e il montaggio secco e intelligente (il taglio/colore di capelli della Rohrwacher come marca del tempo che passa) non impedisce al regista di stare appiccicato al corpo dei personaggi, quasi ad annusarli.
La debolezza, in un certo senso, del film – a parte la già citata eccessiva durata – sta più che altro nel suo non saper andare molto oltre la costruzione stessa, ma forse fa parte di una scelta di campo che vuole privare gli autori della responsabilità sui propri personaggi. Avvicinandosi più all’etnologia che al racconto morale: scritto con una invidiabile spontaneità, soprattutto per un cinema che spesso scade nel didascalismo, Cosa voglio di più di quest’ultimo è del tutto privo, grazie al cielo: si chiede con sereno distacco proprio allo spettatore di partecipare e di giudicare, di immedesimarsi con le ragioni dell’istinto e del corpo, o con quelle della ragione e della famiglia, quella che finisce per avere la meglio – con una punta, bella grossa, di malinconia.
Soldini però non può creare il contesto sociale solo facendo parlare sempre tutti di soldi e di bollette da pagare. Dopo un pò da parecchio fastidio.
Bravissimo Battiston. A un certo punto mi era venuta voglia di abbracciarlo.