Brief interviews with hideous men
di John Krasinski, 2009
Quella di Krasinski era una scommessa non da poco, e non solo per un’opera prima: non si è limitato a prendere in mano un mostro sacro della letteratura americana come David Foster Wallace (scomparso poco prima che il film potesse essere proiettato per la prima volta, al Sundance 2009) ma ha scelto un testo abbastanza arduo da riportare sullo schermo: una collezione di 23 storie raccontate in forma di monologo-intervista. Krasinski rimedia all’impaccio con una sorta di cinico distacco che solo a tratti abbraccia il punto di vista partecipato della protagonista Julianne Nicholson, incrociando i personaggi con fare divertito e non senza talento, ma scegliendo comunque di rimanere nei confini di un cinema indipendente assai selettivo nei confronti del suo pubblico e quindi difficilmente smerciabile.
Forse però per un esordio da regista e sceneggiatore Krasinski ha chiesto troppo a se stesso: il film è infatti abbastanza squilibrato e scoordinato, la prevedibile e attesa logorrea ci mette assai poco a diventare semplicemente noia, e spesso l’impressione che Brief interviews restituisce è quella di una serie di soliloqui messi lì giusto per dar risalto alle (spesso ottime) performance di amici e colleghi passati di lì. Un cast eterogeneo e ricchissimo quindi (chi più rilevante come il bravo Dominic Cooper, chi meno, come nel caso di Ben Gibbard dei Death Cab For Cutie) che qualche volta fa scaturire considerazioni intelligenti, perfide o illuminanti sul pianeta uomo (inteso come maschio) ma che più spesso finisce soffocato dalla pesantezza del testo e dall’inadeguatezza parziale della messa in scena. Un’occasione sprecata.
Non è ancora prevista un’uscita italiana.
Questo è uno dei miei libri preferiti.
E mò che faccio lo vedo?
Non saprei, non l'ho letto. Ti posso solo dire che se l'avessi letto, io non resisterei alla curiosità – ma è una roba mia.
L'ho visto.
La prima impressione è che è fatto veramente bene, ma non disturba quanto dovrebbe, e questo forse perchè leggendolo tendi a identificarti con gli "uomini schifosi", mentre qui invece per forza di cose con la ragazza.
La ragazza è un invenzione del regista, ma solo a metà. Nel senso che, per quel che ricordo, Wallace disse che, alla persona che raccoglieva le interviste, che lui immaginava come una ragazza, era successo "qualcosa di brutto, di molto brutto".
Il libro però è solo per metà fatto di interviste. E' farcito di altre cose brevi che, si ti è venuta la curiosità, valgono assai la pena.
Vincenzino.
in effetti non so se sia un buon film, però di sicuro è un gan bell'adattamento.
Chi ha letto per bene Wallace conosce il modo in cui ha rappresentato le difficoltà che l'inteliggenza troppo acuta può causare ( l'Al Incadenza di Infinite Jest è l'esempio perfetto), ed è esattamente la stessa cosa che sembra accdere alla protagonista del film (personaggio che nel libro si manifesta solo per assenza): nell'adattamento cinematografico lei è wallace. Trovo che sia questa la miglior trovata del film, insieme alla sovrapposizione delle interviste e al modo in cui delle volte lei si "imbatte" nei soggetti/uomini schifosi.
L'idea che wallace restituisce nel ibro, attraverso i dialoghi degli uomini schifosi, è che ognuno di loro è un archetipo, cioè una parte di ognuno di noi (tutti, più o meno consapevolmente, abbiamo provato a fare forza su un nostro difetto per rimorchiare proprio come fa il focomelico) e anche in questo credo che il cast e la recitazione funzionino per bene.
e poi, non so per quale ragione del tutto mia, il fatto che ci sia il lester freamon di the wire a me lo fa sembrare un film riuscito
gianfranco