Greenberg
di Noah Baumbach, 2010
Ci sono film che si fanno amare senza sforzi, ce ne sono altri invece che fanno di tutto per essere amati: a volte ci riescono, altre no. Non è proprio il caso di Greenberg, ultimo lavoro di uno degli autori più interessanti del cinema indipendente americano, già regista del commovente Il calamaro e la balena, che qui porta alle estreme conseguenze ciò che aveva già abbozzato coralmente nel bellissimo (e spesso sottostimato) Margot at the wedding, il ritratto a tutto tondo di un personaggio "nevrotico", volutamente sgradevole, a meno, è ovvio, di riuscire a empatizzare con lui.
Una doppia sfida, dal momento che il ruolo di Greenberg è affidato a uno dei volti più noti della commedia (anche demenziale) americana, Ben Stiller, che questa volta si immerge in un personaggio dalla portata decisamente più drammatica del solito e in un film che rispetta in tutto e per tutto i canoni del cinema indie (in primis l’importanza della bellissima colonna sonora curata da James Murphy). Non senza un’ironia caustica, senza dubbio: ma quella dell’attore newyorkese è un’interpretazione più seria e dolorosa di quanto l’impianto narrativo del film non faccia credere. La sua è una sfida del tutto riuscita, Stiller riesce a trasmettere alla perfezione l’identità fragilissima del suo personaggio, ma quella di Baumbach?
Quello della difficoltà dello spettatore di trovare una connessione con il personaggio, come hanno fatto notare anche diversi recensori americani, è un rischio che Baumbach affronta di petto, con la stessa sfrontata libertà dei suoi film precedenti: a lui interessano poco le reazioni degli spettatori, a lui interessano i suoi personaggi, le loro fobie e le loro crisi, la paura profonda che sia sempre troppo tardi, l’anima bipolare di una generazione che guarda al passato trovando solo scelte sbagliate e ne paga le conseguenze, l’esaurimento sempre nascosto dietro l’angolo, i tentativi a vuoto e quelli che vanno a segno. Baumbach non ha paura di essere sgradevole perché conosce bene le sue nevrosi e non ha intenzione di prendere la strada più facile.
Tutto ciò rende Greenberg un film decisamente riuscito, senza dubbio molto intelligente (la sceneggiatura perfetta è dello stesso Baumbach e della moglie Jennifer Jason Leigh, anche nel cast in un ruolo secondario), ma, allo stesso tempo, altrettanto difficile da amare. Anche un’esperienza sofferta, a tratti, ma senza dubbio dà le sue soddisfazioni – ed è il genere di cinema americano che sarei quasi tentato di promuovere anche a prescindere dai risultati. Ciò che si ama, invece, senza alcun freno, è Greta Gerwig, ex musa del cinema mumblecore: la sua Florence è imperfetta e impulsiva, e l’attrice è diretta da Baumbach con misto di grazia e spietata franchezza che lascia spesso persino interdetti. È già una delle migliori attrici americane della sua generazione.
Non mi risulta sia prevista un’uscita italiana. Chi sa, parli.
ho visto il film come un giocatore di poker con la doppia coppia in mano (attori&musiche, aspettative alte&target di età). la carta che arriva (l'empatia, come hai scritto bene) non è quella giusta. niente full, peccato.
ps.: il pezzo di murphy del trailer nel film non c'è opure ricordo male?
eh sì, mi sa che non c'è.
Appena visto, bello bello, per nulla facile (anche se il fatto di empatizzare col personaggio di Stiller più di quanto avrei voluto forse dovrebbe farmi pensare) ma mi è piaciuto molto.
La Gerwig è veramente incredibile. E io la amo.
Youth is wasted on the young
Lenny Nero
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