Get him to the Greek
di Nicholas Stoller, 2010
È importante fare delle distinzioni, quando si parla dei film scritti, prodotti e/o diretti da Judd Apatow. Discorso fatto mille volte su questo blog: non sono tutti belli né tutti brutti, Superbad non è Drillbit Taylor, Walk Hard non è Year One, Apatow sceneggiatore non è Apatow regista, e via dicendo. Tutto sommato però è piuttosto semplice trovare nel corpus apatowiano dei tratti distintivi che identificano buona parte dei lavori che portano, in un modo o nell’altro, la sua firma. Get him to the greek, sorta di sequel (più uno spin-off, nel senso che riprende solo un personaggio, l’Aldous Snow di Russell Brand) di Forgetting Sarah Marshall, risponde in tutto e per tutto a uno di questi modelli, che sintetizziamo così: gli uomini sono tutti dei simpatici eterni bambinoni, le donne invece sono delle odiose castranti puttane scassapalle. Ma se per avere dei dialoghi assolutamente irresistibili e divertentissimi come sono quelli di Get him to the Greek, grazie anche al talento di Jonah Hill e alla presenza scenica di Russell Brand, saremmo anche disposti a perdonare questa e molte cose già tipiche dei film diretti da Apatow (il ritmo catatonico, l’assenza di regia nelle scene in cui i personaggi sono sobri, le sequenze tirate per le lunghe fino allo sfinimento, la sfilata di amichetti, la sensazione che il film duri cinque ore e mezza) quello che non siamo disposti a perdonare è la moraletta che Stoller e compagnia ci sbattono in faccia dopo un’ora e mezza di gente che vomita, beve, scopa, vomita, si droga e beve e vomita di nuovo e scopa, perché dà proprio l’impressione che per giustificare la presunta “scorrettezza” e del film si debba per forza bilanciare con una parte finale del genere – del tutto annunciata dal tono generale del film – su cui tanto valeva mettere dei grossi cartelli al neon con scritto DROGA BRUTTO, insomma, un procedimento persino più fastidiosamente perbenista di chi almeno mette le cose ben chiare dal principio. Per usare di riflesso la stessa metafora del film, ci avete promesso un concerto al Greek Theatre e ci avete dato Storytellers?
Nelle sale italiane dal 3 dicembre con il titolo In viaggio con una Rock Star.
Vedere questo film doppiato è come vedere un musical senza le parti cantate: l’edizione dvd e blu-ray inglese esce il primo novembre, quella americana (Regione 1) è già in commercio.
“Vedere questo film doppiato è come vedere un musical senza le parti cantate”
bellissima (e tristemente vera) espressione
spiN ofF megliO delL’originalE.
sì, il finale droga-no-perchè-brutto è davvero insulso..
ma tutto il film mi fa un pò irritare, soprattutto con me stesso, perchè mi scopro per l’ennesima volta preda facile di un prodotto che non si merita di avermi così facilmente, e invece sì. Ok, alcune cose buone ci sono. Russell Brand è bravo.
Ma a stringere esce tanta acqua, ed in mano rimane davvero poco, specie a livello di scrittura. Però mi ci metti Elizabeth Moss, i Mars Volta, Pharrell Williams, Londra, New York, Puff Daddy Combs, e io sono fottuto, abbocco all’istante.
Insomma, direi che è il solito caso, anche se non dei peggiori fra le varie apatowate degli ultimi anni, di carenza d’idee con abbondanza di contorno (che mi sembra un pò il motivo per cui gli ospiti in SNL ultimamente li portano con le carriole.. namedropping? famedropping? horror vacui?).
Comunque, a proposito di SNL, qualche anno fa c’era un “Saturday TV Funhouse” in cui un gruppo di investigatori bambini – Diddy Kiddies – cercava di aiutare P Diddy a risolvere il grande mistero “what is it that I do?”. Bello, faceva ridere parecchio, mentre ci si domandava “ma in effetti, cos’è che sa fare davvero bene Puff Daddy”?
Beh, incredibilmente a me la cosa che ha fatto più ridere del film è stato proprio lui. E non dico tanto il personaggio, ma proprio la sua interpretazione!
“I’m a cover the whole outside of my house in this material.. my house’s gonna look like a fucking werewolf!”.
Non c’è molto di più, ma almeno un par de risate, anche senza infilamenti di ciabatte, me le sono fatte
“Ma a stringere esce tanta acqua, ed in mano rimane davvero poco, specie a livello di scrittura”. Eh già.
Condivido più o meno tutto, giudizio su Puff daddy compreso (mi ero dimenticato di citarlo, ma è una delle cose più riuscite del film)
in effetti il film è stanco e la scena migliore ce l’ha proprio puff daddy:
“i’m eating my own head… nom… nom… nom…”
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