Assault Girls (Asaruto gâruzu)
di Mamoru Oshii, 2009
Mamoru Oshii è uno degli autori più importanti dell’animazione nipponica e, più in generale, uno dei registi giapponesi più visionari e più amati dagli appassionati del genere: ma se la sua filmografia a partire dalla fine degli anni ’70 (soprattutto dal 1981, anno in cui iniziò a dirigere l’anime di Lamù) è davvero ricca, il pubblico occidentale abbina la sua firma soprattutto al seminale ed epocale Ghost in the Shell del 1995 e al suo incredibile sequel Innocence del 2004. Dopo la (personale) delusione del grottesco Tachiguishi Retsuden, comunque assai apprezzato da molti suoi fan, un paio d’anni fa a Venezia Oshii portò The Sky Crawlers, un bellissimo film d’animazione metafisico e purtroppo poco conosciuto nonostante sia da tempo in commercio anche in Italia. Con Assault Girls Oshii torna a dirigere un lungometraggio live action a quasi un decennio di distanza dal diseguale ma affascinante Avalon, di cui richiama a tratti alcune atmosfere, convenzioni e palette.
Questo cappello riassuntivo serve solo a prendere tempo perché io, in tutta franchezza, Assault Girls non sono riuscito a capirlo.
Lungo poco più di un’ora, il film è ambientato in una realtà simulata che ha le fattezze di un deserto dove alcune bellissime guerriere (chi armata fino ai denti, chi con la capacità di trasformarsi), accumulano punti eliminando degli enormi vermoni digitali che escono delle sabbie. Basta. Non c’è molto altro. Non c’è praticamente alcuna vera evoluzione narrativa, se non la decisione di unire le forze per un nemico più difficile da battere. Tra l’altro, il film si apre con un incipit verbosissimo che dà un contesto distopico ma che in definitiva è del tutto inutile ai sensi di ciò che verrà: dopo questo, c’è una (spettacolare) sequenza action finita la quale il film fa una brusca frenata. E in parole povere, non succede più niente fino a pochi minuti dalla fine. Poi: bang, boom, fine.
Ovviamente il film sotto il profilo visivo è una goduria, a cui contribuisce non poco l’accecante bellezza di Meisa Kuroki (e di Rinko Kikuchi, ma in modo minore) ma il film si ferma lì, al look post-tutto delle sue interpreti, alle pose plastiche, alle armi e ai mirini. Forse c’era qualcosa da capire che mi è sfuggito, un’altra profonda riflessione del Nostro sul futuro sempre più fragile dell’identità e dell’anima? Lo dico sinceramente: spiegatemelo voi. Perché io ci ho visto tre ragazze giapponesi che sparano ai vermoni, e poco altro.
L’edizione home video americana è region free sia in DVD che in Blu-Ray ed esce la prossima settimana.
A me di Oshii era piaciuto parecchio Tenshi no tamago.… The sky crowlers ce l’ho in lista da tempo, ma questo però devo ammettere che non mi ispira molto…
Meisa Kuroki è una f..a imperiale!
Non che Sky Crawlers fosse ‘sta goduria eh…
Ciao Torakiki!
A me Sky Crawlers piacque molto, non si era capito?
Lo si era capito sì. Io non avrei, e non ho, difeso nemmeno un pò Avalon. Ma sono io che sono cattivo he he
essendo Oshii il mio regista d’animazione preferito…. muoio dalla voglia di vederlo… ma purtroppo non sono ancora riuscito a procurarmelo
@flarin…. l’uovo dell’angelo è forse il secondo miglior lavoro di Oshii, dopo naturalmente ghost in the shell……
kekkoz…. ne approfitto per farti i complimenti per entrambi i tuoi blog: questo e friday prejudice…. e per segnalarti il mio http://babilondream.wordpress.com/ , dove ti ho aggiunto nel blogroll
ciao e a presto!!!!!
“tre ragazze giapponesi che sparano ai vermoni”
ci sono già quattro buoni motivi per vederlo in una sola frase
brrr… c’e’ ciocco di legno (la Kuroki), per me e’ un disincentivo… se facesse solo la modella sarebbe bello, invece si ostinano a farla recitare e pure cantare e ballare… D:
http://www.cineclandestino.it/articolo.asp?sez=77&art=5138
Giusto per soddisfare la tua richiesta di spiegazioni… non so quanto valide siano…
Grazie del link, l’articolo è davvero interessante.