Figli delle stelle
di Lucio Pellegrini, 2010
Dopo la morte di un operaio sul lavoro, e dopo essere intervenuto invano in un talk-show sulle morti bianche, un collega decide di rapire il Ministro del Lavoro per chiedere un riscatto di risarcimento alla vedova. Insieme a lui, un professore di educazione fisica costretto dalla crisi a lavorare all’Autogrill; il cugino di quest’ultimo, un corpulento malinconico delle lotte sociali che ha sposato una coi soldi; e un ex carcerato con giacca di pelle e fare misterioso; il collante, una giovane giornalista combattiva e confusa. Purtroppo i quattro sbagliano persona e rapiscono un povero sottosegretario finito nel posto sbagliato, al momento sbagliato, per la causa giusta.
Con una premessa simile, Figli delle stelle poteva prendere un sacco di direzioni e diventare un sacco di cose – approssimativamente tutte quelle per cui può venire scambiato, come la delicatissima parodia dei film sul terrorismo che il film in realtà non è. Pellegrini mette invece in scena una commedia all’italiana, con tutti i crismi del caso, e un film in cui al centro dell’azione non c’è critica sociale o politica ma il disegno dei personaggi, perseguendo l’idea che siano questi ultimi, da sé, a far fuoriuscire la prima: l’azzardo considerati i temi in ballo è davvero minimo, e nonostante le pistole in scena siano molte gli spari sono pochi. Ma quella di Pellegrini è una direzione coerente, sostanzialmente inattaccabile, perché conscia dei propri limiti – o meglio, dei confini all’interno dei quali vuole narrare la sua storia. Inutile andare al cinema a cercare soluzioni di un altro cinema: tenetelo ben presente, che la tentazione è forte.
Dunque Figli delle stelle funziona, anche se funziona solo a metà. Si apre infatti in modo brillante, sulle immagini di Marghera, sull’incidente improvviso, e ha la trovata intelligente di continuare a intervenire in medias res spezzando di nuovo la narrazione con un’ellissi temporale – evitandoci il fastidio della solita presentazione dei personaggi e lasciando che si presentino da soli con il passare dei minuti. Stesso discorso per le modalità con cui le loro storie si incontrano e per il piano del rapimento: alla sceneggiatura questi dettagli non interessano, li salta a pié pari, e questo giova al ritmo del film. Da lì in poi però il film ingrana a fatica, gli attori sono spinti a calcare sul carattere e sugli accenti, il divertimento viene in secondo piano rispetto alla fatica di far proseguire la narrazione. Tutta la parte del film ambientata in Val D’Aosta, con il beneficio della stasi, è invece decisamente più riuscita, sia per il set inaudito (e la cura visiva che nella prima metà era lasciata a se stessa, potere della neve), sia per il cinismo con cui è dipinta la piccola comunità montana, sia per il coraggio di spingere un po’ di più su tutti i pedali – quello farsesco (il balletto sulla canzone di Sorrenti) quello drammatico (la sequenza minacciosa della “passeggiata”) che quello più classicamente dolceamaro (l’inseguimento sul confine e il finale).
Se ancora una volta Pellegrini non è riuscito a ripetere quell’episodio straordinario che fu E allora mambo!, una delle migliori commedie italiane degli ultimi vent’anni (riflettendoci ce ne sono poche a quel livello, ma fa lo stesso), si conferma quantomeno un buon co-sceneggiatore (abbiamo visto perché, i trucchi del mestiere non mancano, i dialoghi sono buoni e fanno ridere, visto l’andazzo generale è tutto grasso che cola) e un ottimo direttore di attori, con la trovata di dividere nettamente i compiti all’interno del cast in modo piuttosto inusuale ma funzionale: Giuseppe Battiston e Pierfrancesco Favino si beccano le parti comiche, a Fabio Volo e Fabio Sassanelli toccano quelle drammatiche, Giorgio Tirabassi ha questo ruolo intermedio ed è il migliore del gruppo – ma comunque se la cavano tutti egregiamente, chi più chi meno.
Una commedia innocua, tutto sommato: chi ha detto che ci deve dispiacere?
Link: il post di gparker
domanda…ma hanno chiesto i diritti a quelli di i love radio rock per scopiazzargli il poster???
Ahah, guarda, non sei la prima che se lo chiede…
ma perché dispiacere?
da quel che dici sembra un mezzo miracolo
“ma comunque se la cavano tutti egregiamente” fabio volo, ripeto FABIO VOLOOOO!
Sembra interessante…e allora mambo mi era piaciuto molto. del resto funziona di più il tragicomico che il comico spinto.
da i soliti ignoti alla lingua del santo, diversi tra loro, ma che hanno di base le stesse tematiche.
il tragicomico è un genere tutto italiano o meglio europeo, il classico esempio di film che sai che non potrebbe funzionare bene se diretto e interpretato e girato negli states.
io gli do una chance, poi se mi fa schifo so dove trovarti!
No way, non mi assumo queste responsabilità!
(su un film così poi ehe)
e la pandolfi?
ho sentito dire che è copiato dal film indipendente “la banda del brasiliano”, sarà vero?