The American
di Anton Corbijn, 2010
Poteva suscitare un certo sconforto che il secondo film di Corbijn dopo Control, che era così affine alla sua carriera nei decenni precedenti, fosse qualcosa di così differente: un thriller ambientato in Italia con un assassino interpretato da George Clooney? Eppure, The American è un esperimento molto interessante: prende il fascino di tutti gli elementi che lo compongono e svolge una progressiva smitizzazione. Primo, la figura romantica del killer professionista, il cui biglietto da visita qui (nell’incipit nevoso del film) è invece ammazzare l’amata quando la copertura salta; secondo, lo stesso Clooney, tutt’altro che l’irresistibile gentleman degli Ocean’s; terzo, la location “esotica”: siamo in Italia ma non siamo certo a Firenze, il piccolo borgo abruzzese è molto bello a vedersi ma è spoglio, vuoto e privo del solito insieme di cliché legati all’ambientazione italiana. Rimanendo sull’argomento: di questi cliché generalmente solo noi italiani ci accorgiamo, ma almeno in questo film ci viene risparmiato quel noto senso di imbarazzo causato dal fraintendimento delle nostre abitudini da parte delle produzioni americane. C’è da dire che gli abitanti del borgo a volte parlano come automi senz’anima o come meri involucri, ma credo faccia parte del gioco: l’Abruzzo di The American è più un luogo dell’anima, un limbo beckettiano, che un paese su una mappa – un posto dove attendere un finale, che è inevitabile e annunciato. E il film si muove nella stessa direzione: è un thriller anticlimatico, silenzioso, decisamente inusuale per una produzione americana (anche nel budget di circa 20 milioni) e a suo modo garbatamente inospitale nei confronti del pubblico, visivamente un po’ deludente, piatto e poco personale – ma si fa perdonare con un finale tristissimo e perfetto.
Mio!
A.