American: The Bill Hicks Story
di Matt Harlock e Paul Thomas, 2009
“I don’t know what you all believe, and I don’t really care. But you have to admit that beliefs are odd. Lots of Christians wear crosses around their necks. You really think when Jesus comes back he ever wants to see a fucking cross?”
Mettiamola così: se non avete mai visto nemmeno un estratto di uno spettacolo di Bill Hicks, a questo punto, è un po’ colpa vostra. Così come è un peccato ridurre la vostra conoscenza di Hicks a “uno di quelli a cui si ispira / da cui copia Luttazzi”. Tra i maggiori meriti di diffusione culturale di siti come Youtube negli ultimi (pochi) anni c’è infatti stata senza dubbio la possibilità di mettere alla portata di tutti, anche nel nostro paese (e a volte anche in italiano, grazie al lavoro certosino dei sottotitolatori), i materiali migliori dei più grandi stand up comedian americani, autentici filosofi della cultura popolare contemporanea, che fino a qualche anno fa erano più che altro dei nomi suggestivi e spesso nominati, le cui esistenze più leggendarie potevano trovare uno spazio in qualche lungometraggio (per esempio Lenny su Lenny Bruce o Man on the moon su Andy Kaufman) ma i cui monologhi, trasmessi in patria magari da reti come la HBO, non avevano certo spazio sui canali italiani. Geni come George Carlin e Richard Pryor, ma anche come Dave Chappelle o Chris Rock, Louis C.K. o Margaret Cho – e ovviamente come Bill Hicks, il comico scomparso per un cancro al pancreas nel 1994. Aveva solo 32 anni, eppure è considerato uno dei giganti della sua categoria.
Il documentario di Harlock e Thomas però va ben oltre la collezione di estratti dai suoi spettacoli più celebri (di cui ci saremmo persino accontentati), e per gran parte della sua durata è interessato soprattutto al modo in cui il talento di Hicks è andato a braccetto con la sua tumultuosa vita personale. Grazie alla collaborazione di molti famigliari e amici del compianto comico, la sua storia viene raccontata senza tralasciare alcun dettaglio utilizzando (oltre alle musiche dello stesso Hicks) l’archivio fotografico della famiglia fin dai primi anni di età, con un montaggio geniale (anche se estenuante) che riesce a dar vita alla staticità delle immagini fotografiche con uno stile da cartoon sperimentale. Il tutto intervallato ovviamente dagli estratti della luminosa carriera di Hicks, con una quantità di materiali semi-inediti o poco visti che faranno sbavare qualunque fan, i primi filmati in 8mm ai tempi delle superiori, le prime serate quando Hicks era così giovane da dover chiedere il permesso ai suoi genitori, le esperienze mistiche con le sostanze psicotropiche. Poi, la storia di Hicks è nota ai più: la fama, i problemi con l’alcol, la decadenza professionale, la riabilitazione, il ritorno sulle scene, il successo travolgente nel Regno Unito, la malattia e le ultime settimane di vita, ma anche i problemi con la censura – come quando la CBS si rifiutò di mandare in onda l’intero monologo registrato per lo show di David Letterman: sarebbe stata la sua ultima apparizione in tv, è andato in onda soltanto un anno fa, con le scuse tardive dello stesso Letterman. Ne esce il ritratto profondamente umano di un uomo mosso da un’ossessione e trascinato nel baratro dal suo stesso talento. Un abisso da cui è riuscito a uscire, anche se per poco – giusto in tempo per regalarci alcuni dei monologhi più lucidi, cattivi, sinceri e divertenti che vi possano capitare sotto mano, ancora oggi. Un’eredità pesante quanto preziosa a cui il film rende omaggio: forse tendendo un po’ verso l’agiografia, ma restituendo a Hicks il pieno merito di aver smitizzato e dissezionato le contraddizioni della società americana e occidentale di fine secolo come pochissimi altri.
Mi è piaciuto ma avrei preferito un filino in più di profondità, non sto certo a fare lo schizzinoso però, avere a che fare con Hicks è sempre un piacere e se qualcuno incuriosito dal documentario si avvicinerà al suo lavoro invece di guardarsi Zelig o quell’altra porcata di Colorado Cafè, sarà un bel traguardo!
Giusta osservazione. Certo, non è Capturing the Friedmans, ma se uno è un briciolo appassionato di stand up comedy questo è il Vangelo di Giovanni.
Sì sì avoja, è manna e poi ogni volta che vedo Hicks sul palco mi fa cappottare anche se conosco già le battute a memoria.
Ps: ho finalmente visto Hilarious e m’ha ribaltato, assieme a quella faccia da schiaffi di Maher, Louis CK è candidato a diventare il mio stand up comedian contemporaneo preferito.
Esiste (esisterà) una versione in Italiano? Grazie
Così, a naso? No.
Poi che uno si affida alla pirateria…
Grazie, Kekkoz