Cyrus, Jay e Mark Duplass 2010

Cyrus
di Jay e Mark Duplass, 2010

Come ho scritto dall’altra parte, aspettavo i Duplass al varco, ma con una solida fiducia: tra gli artefici del mumblecore sspesso citato su questo blog, i due fratelli di New Orleans sono quelli che hanno mostrato in passato (Mark anche come interprete) una maggior dimestichezza nell’utilizzare (e ribaltare, all’occorrenza) i meccanismi e i linguaggi della commedia. E in Cyrus, loro prima produzione “importante” (sette milioni di budget, patricinio di Ridley e Tony Scott), i Duplass sono riusciti a trasferire nei corpi di tre star come Jonah Hill, John C. Reilly e Marisa Tomei la freschezza che ha dato loro notorietà all’interno dei festival di cinema indipendente.

Il tratto più distintivo, al di là dello stile naturalistico della messa in scena, sembra essere la bravura nel raccontare una storia che si regge soprattutto su dinamiche quotidiane e “banali”, su rapporti tra i personaggi che possono sì giocare scaltramente con riconoscibili ingranaggi ma che non si fanno mai divorare da essi. In tal senso il film è di un’asciuttezza atipica sia nella narrazione che nella messa in scena (basti pensare a come si conclude, negando il gusto per la chiusa ad effetto o per la sagacia fine a se stessa, rivolgendosi invece a una realtà dove il lieto fine esiste), ma non si pensi a un’opera improvvisata o dilettantistica: i Duplass sanno il fatto loro, il film è scritto in modo intelligente e, pur non puntando troppo in alto, nella sua metodica calma riesce a essere divertente e commovente senza apparire artificioso.

Il più grande merito di Cyrus è però quello di aver puntato le luci e di aver scommesso tutto su Jonah Hill che, dopo cinque anni passati alla corte di Judd Apatow, con questa performance sottile, misurata, perfida ma profondamente umana, mostra (non è la prima volta, ma in modo definitivo) la sua caratura, tanto da riuscire a mettere in ombra un pezzo grosso come John C. Reilly. Se tutti lo sapessero dirigere così.

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