[el pube è un pilota / fall 2010 edition]
[piccola guida non esaustiva alle nuove serie tv]
La lunga estate è finita: Lost ha finito la sua corsa, il resto del tempo è stato speso a elaborare il lutto rivalutando e innamorandomi perdutamente di due cose straordinarie come Breaking Bad e Fringe, le cui ultime stagioni recuperate tardivamente (rispettivamente la terza e la seconda) sono state esperienze sinceramente travolgenti, e continuando ad amare senza reticenze due serie come True Blood e Mad Men, quest’ultima divenuta ormai talmente sublime da sfiorare l’assurdo. Ma ora è tempo di guardare avanti: ecco un piccolo riassunto dei pilot delle nuove serie tv* che mi sono puppato per spirito di sacrificio.
Tra tutte le moltissime serie iniziate durante il mese di settembre, Boardwalk Empire (HBO) era probabilmente la più attesa: produzione ricchissima a cura di Martin Scorsese e Mark Wahlberg, cast d’eccezione con Steve Buscemi e Michael Pitt in prima fila, ambientazione favolosa ai tempi del proibizionismo, set stupendi, scene di massa, la libertà data dal cavo. Il pilot, diretto dal Gran Maestro in persona, non ha deluso le aspettative: un vero e proprio (bellissimo) film di un’ora e dieci, scorsesiano in tutto e per tutto, una vera manna per qualunque fan del regista in vena di una caccia al marchio di fabbrica, tra iridi e fermo immagine e via dicendo. Gli episodi successivi, a dire il vero, per ora vivono all’ombra di quella prima esplosione, ma la serie tiene comunque botta: in giro c’è magra, questa roba è oro che cola sugli occhi. Facciamocelo durare. Kelly Macdonald for teh win.
In verità Rubicon (AMC) sta arrivando proprio in questo periodo alla fine della sua prima stagione: ma la terza produzione originale della rete che ha proposto due tra i drama più belli del decennio (ovvero Mad Men e Breaking Bad) e che si prepara al botto annunciato di The walking dead si difende con i denti nel ruolo un po’ reietto di “cugina minore”. Ci mette parecchio a crescere: dopo tre o quattro episodi la tentazione di farla finita è fortissima. Ma sarebbe un errore, e lo dico a chi ha mollato il colpo: tornate sui vostri passi. Giocata su una costruzione della tensione d’altri tempi che non ha nulla a che fare con la televisione di oggi, nemmeno con quella più raffinata, Rubicon è uno dei progetti più adulti della televisione americana e, come tale, richiede pazienza. Diamogliela. Sono sicuro che, come già i suoi “cugini maggiori”, crescerà sempre di più.
Negli ultimi anni sono molte le serie comedy a cui ci siamo affezionati irrimedialmente (30 Rock, Community, Glee, Modern Family, per fare solo alcuni dei nomi più altisonanti) ma il panorama dei nuovi titoli, come si può vedere, è abbastanza sconfortante. Su tutti spicca Raising Hope (Fox), serie creata dal Greg Garcia dell’amatissimo My Name is Earl, che torna a raccontare una piccola epoea white trash – quella di Jimmy, un ragazzo spiantato e non troppo intelligente che mette incinta una serial killer prima dell’esecuzione e che si trova una bimba a carico. Deliziosamente scorretto ma anche estremamente zuccheroso: non per tutti quindi, ma la qualità di scrittura e i production values sono evidentemente sopra la media. Ottimo il cast, in primis Martha Plimpton – ma c’è anche la grandissima Cloris Leachman nel ruolo della nonna suonata. Ho l’impressione di non avervi convinti.
Ha senso parlare di una serie che hanno già trombato? In questo caso sì, perché Lone Star (Fox), il cui protagonista era un truffatore bigamo, aveva tutte le carte per diventare il gioiello incontrastato della stagione. Una vera scommessa, quella del canale: trasmettere una serie “da cavo” su un network come Fox, con il quale sembrava aver poco da spartire. Purtroppo, gli ascolti disastrosi hanno massacrato le speranze di sopravvivenza, e la nota tendenza della rete ad abbassare la mannaia senza il coraggio di puntare sul lungo periodo ha fatto il resto: dopo due episodi, Lone Star non esiste più, e come fa notare Rei su Serialmente questo è anche un bruttissimo segno. Il mio consiglio sarebbe di recuperare comunque i due episodi, perché sono bellissimi – ma averli visti e sapere che è tutto lì è frustrante. Regolatevi voi.
Come spesso accade, una delle serie migliori della stagione non è americana ma britannica, e così rischia di passare inosservata. Anche perché il format crea confusione: Sherlock (BBC) è composto da tre “lungometraggi” invece dei soliti sei episodi, di cui almeno due (il primo e il terzo) sono dei pezzi di televisione della madonna che la maggior parte dei network americani si sogna. I nomi coinvolti non lasciavano troppi dubbi: lo Steven Moffat di Doctor Who, il Mark Gatiss di League of Gentlemen, Martin Freeman nel ruolo di Watson e il sorprendente Benedict Cumberbatch nel ruolo di Sherlock Holmes. Una figata senza pari, che tra l’altro con acuto sadismo lascia il pubblico con la bava alla bocca per la seconda stagione.
Rimaniamo temporaneamente nel Regno Unito, dove si conclude proprio in questi giorni la prima stagione di Him & Her (BBC Three), una sit-com ambientata interamente in un bilocale abitato da due twentysomethings, ma non per questa priva di una sua grazia. Tag: sesso, più parlato che esibito. Una serie assolutamente impensabile in un paese come il nostro però, e difficile da immaginare anche negli states, non tanto per la “volgarità” tra virgolette ma per l’idea di andare a sollevare il velo di pudore che nasconde i riti quotidiani di una giovane coppia, tra il letto e il water, tra le coccole e le caccole. Di contorno, dialoghi divertentissimi e una stupenda coppia di protagonisti: Russell Tovey e Sarah Solemani. In giro se ne parla poco, ma merita.
Adesso che è finito Lost, ve ne sarete accorti, sono tutti a caccia del “nuovo Lost“. Posto che sia possibile o che ce ne sia bisogno senza avere il tempo di tirare il fiato, The Event (NBC) sembra essersi addossato la responsabilità senza che nessuno glielo abbia chiesto. Della serie si parla già maluccio un po’ dappertutto, ma la verità è che il pilot è godibile e il secondo episodio è persino migliore – anche perché smette di menare il can per l’aia e mette bene in chiaro da subito quali sono gli argomenti in campo, invitando chiaramente gli spettatori a indossare un bel giubbotto di sospensione dell’incredulità. Gradisco. Reggerà il colpo ancora per qualche episodio o farà la fine ingloriosa di Flashforward? Per ora ha la nostra attenzione, ma occhi ai passi falsi.
L’altra serie di cui si puntava molto già mesi prima del primo episodio (o dei leak, a seconda) è No Ordinary Family (ABC), che dalle informazioni sembrava avvicinarsi molto a Heroes mescolato con I fantastici quattro. In realtà l’esperimento del pilot è quello di applicare la formula stravincente di Modern Family al modello della serie di supereroi, cercando di evitare i casini combinati da Heroes puntando su un format che ricorda da vicino Gli Incredibili della Pixar. Una serie così derivativa non poteva suscitare troppe simpatie: il coro dice già visto, già fatto, piantatela. Però onestamente il pilot (l’unico episodio che ho visto) è molto spassoso: se non fa l’errore di prendersi troppo sul serio, ci sarà da divertirsi. Sennò ciccia.
Non per niente The Big C (Showtime) è diventata vittima insieme alle precedenti Weeds e Nurse Jackie di un innocuo skit del SNL: la rete che la ospita sembra fare le serie con lo stampino, a volte. Il fatto è che le fa proprio bene: anche questa, in cui la protagonista scopre di avere un cancro incurabile e ribattezzata da qualche parte “Breaking Bad without the meth and the awesomeness”, è un prodotto di tutto rispetto, con una sceneggiatura validissima e ottimi interpreti, soprattutto Laura Linney. Dopo qualche episodio però la serie comincia ad avere il fiato corto: personalmente l’ho abbandonata, e di solito non è un buon segno.
Ognuno ha i suoi guilty pleausure televisivi in ogni stagione: c’è chi guarda Pretty Little Liars (che io ho lasciato dopo il pilot), io invece ho Hellcats (The CW), serie incentrata su una studentessa di legge interpretata dal biondo faccione ricciolone di Aly Michalka che per sostenere gli studi è costretta a fare la cheerleader e a dividere la stanza con Ashley Tisdale. Ovviamente è una ginnasta con i controcazzi e farà un culo così a tutte le altre, e ovviamente scoprirà che è uno sport vero e durissimo dove si può MORIRE tipo. E c’è spazio per l’amore! E c’è spazio per l’amicizia! E c’è spazio per un numero impressionante di coreografie e/o balletti su una delle peggiori colonne sonore di sempre. Veramente brutto, assolutamente irresistibile.
[EDIT] Il fatto che mi sia dimenticato di Running Wilde (Fox) nella prima stesura del post la dice lunga sul mio gradimento della serie con Will Arnett e “la tipa di Felicity“, sulla quale per ora ho deciso di sospendere il giudizio – probabilmente perché non sarebbe troppo entusiasta. Il pilot è gradevole e divertente anche se un po’ moscetto considerati i talenti coinvolti (c’è Peter Serafinowicz, perdio!), il secondo episodio ha azzerato la mia voglia di continuare. Vado avanti giusto perché Will Arnett è Will Arnett e perché sto aspettando che prima o poi cominci a diventare veramente divertente.
Passiamo infine ai punti dolenti: le serie tv con cui ho deciso di chiudere dopo il pilot, o parte di esso, per le ragioni più svariate. La prima è Undercovers (NBC), nuova creatura (nientemeno!) di J.J. Abrams, modellata su film come True Lies e Mr and Mrs Smith ma senza più nulla da dire sull’argomento se non “ehi hai visto sono dicolore”. L’unico punto di forza è Gugu Mbatha-Raw, bellissima attrice inglese già vista in Doctor Who di cui non riusciremo mai a imparare il nome e che quindi chiameremo semplicemente “Gugu” o “quella figa stratosferica di Gugu”. Il resto è più o meno da buttare. Delusione anche per Big Lake (Comedy Central) che non fa ridere manco per sbaglio nonostante la produzione di Adam McKay e Will Ferrell e per Outsourced (NBC) che nonostante le promesse (e qualche risata) si è rivelato una cosetta poco lol e pure un pochetto razzista. Terriers (FX) è invece un titolo interessante e ben realizzato, ecco: l’unico problema è che dopo il pilot non avevo alcuna intenzione di proseguire, forse è un problema mio. Non è il caso invece di Nikita (The CW) che invece fa schifo al cazzo e credo non ci sia altro da aggiungere. Di Chase (NBC) e Hawaii Five-0 (CBS) ho visto dieci minuti a testa: quanto basta per capire che non parliamo nemmeno la stessa lingua. Invece The Defenders (CBS) non è male, se vi piacciono i drama processuali: per capirci, a me fanno schifo (motivo per cui ho abbandonato a metà il pilot di The Whole Truth (ABC), nonostante fosse interessante e ci fosse Rob Morrow.
In realtà nessuna nuova serie autunnale è all’altezza della vera perla dell’estate 2010: iniziata a fine giugno e terminata all’inizio di settembre, Louie (FX) (che ho ribattezzato “la migliore serie tv che nessuno sta guardando”) è scritta, diretta e interpretata dallo stand up comedian Louis C.K. (di cui vi obbligo a vedere Hilarious) ed è un autentico gioiello televisivo con picchi di genio assoluto, una delle cose più belle e divertenti che vi possano capitare in questi mesi davanti agli occhi. La prima stagione è composta di 13 episodi, recuperatela a ogni costo, intendo ora.
*questo post ovviamente non include serie già iniziate prima dell’estate