Outrage (Autoreiji)
di Takeshi Kitano 2010
Non mi metterò a spiegare diffusamente perché, ma di norma è abbastanza inutile, persino nocivo, mettersi a leggere cosa pensa un regista del suo stesso film. Nel caso di Outrage e di Takeshi Kitano però è inevitabile porsi una domanda, se vogliamo, di natura sia produttiva che artistica: perché girare un film come Outrage? Perché interrompere una trilogia di ambiziosi e bellissimi (anche se in qualche modo irrisolti) film sperimentali per tornare a girare dopo 10 anni secchi non solo uno yakuza eiga ma quello che è una sorta di “grado zero” dello yakuza eiga kitaniano? E così, scartabellando, scopriamo che Kitano si è stufato, che ha costruito la trama intorno alle scene di violenza e non viceversa, che il regista di alcuni dei più straordinari capolavori del cinema asiatico (e non solo) degli anni ’90 aveva voglia di fare un film dichiaratamente per le masse. Un film con i gangster, punto. Un film di gangster che sparano. In cui non ci sia niente da scavare, non ci siano profonde riflessioni sulla vita e sulla morte, sull’arte e sulla poesia, ma solo gangster che sparano. Gangster che si uniscono, complottano, si tradiscono, si uccidono, e poi ricominciano da capo: unioni, complotti, tradimenti, omicidi, e di nuovo daccapo. Torniamo al problema principale: quanto vale la parola di un autore su un’opera? È un discorso troppo lungo e accademico, per il quale non siamo nel luogo più adatto, ma non c’è dubbio che Outrage sia una feroce dichiarazione d’intenti sia nei confronti del pubblico sia degli epigoni che Kitano (e altri protagonisti del cinema degli anni ’90) hanno creato, e per la sua distanza da quel metodo unita all’apparente similarità con i suoi film di un tempo, ha la forza propulsiva di un Manifesto. Quello che resta in Outrage è insomma lo scheletro del suo cinema più violento, sardonico e spietato, uno scheletro che forse Kitano voleva davvero lasciare a se stesso per restituire al pubblico al gusto del puro racconto – il che significa anche asciugare il cinema dagli orpelli semantici (e dalla sovrainterpretazione) e ridare l’epos puro del cinema in mano alla sua magistrale capacità tecnica e al potere delle immagini.Un gioco? Forse. Uno scherzo? Non proprio. Di sicuro, non una presa in giro. Insomma, i capolavori di un tempo sono lontani, ma Outrage non è un film da prendere sotto gamba. Forse anni fa avrei ironizzato sul fatto che la pronuncia giapponese del titolo nella sua versione occidentalizzata si scriva proprio “Autoreiji”, ma non ho più l’età per queste sciocchezze.
L’edizione giapponese del DVD è Regione 2 come la nostra, ma costa parecchio. Più economica invece l’edizione hongkonghese, che però è Regione 3.
“Un film di gangster che sparano. In cui non ci sia niente da scavare, non ci siano profonde riflessioni sulla vita e sulla morte, sull’arte e sulla poesia, ma solo gangster che sparano.” Il me stesso di 17 anni che ancora non vuole saperne di crescere, non vede l’ora di vederlo. E in effetti anche il me stesso trentaqualcosa.
Ho appena finito di vedere questo film…e cercando qualche
recensione qua e là mi sono imbattuto su questa pagina… Sono
stracontento che Beat Takeshi sia tornato a fare un film sulla
yakuza…nudo e crudo… ci voleva…. Personaggi
interessanti,bella fotografia,grande prova attoriale da parte di
tutti… da vedere….
Non volevo leggerlo quest’articolo… perché sapevo mi avrebbe indotto a guardare il film..
..e non volevo vedere un fottutissimo film del fottutissimo Kitano stasera..