Il Discorso del Re (The King’s Speech)
di Tom Hooper, 2010
È quasi inevitabile, un’accogliente tentazione, mettere a confronto il film con la pioggia di nomination agli Oscar che ha ricevuto proprio questa settimana, che ne vinca tanti o meno – e che si attribuisca o meno importanza a tali premi. E forse, visto il livello degli altri film nominati, e quindi della nutrita rappresentanza del cinema anglofono nel 2010, ho l’impressione che l’entusiasmo mostrato dai media e dagli addetti ai lavori nei confronti del film di Tom Hooper sia in qualche modo eccessivo.
Questo non significa che il film non sia bello o non sia riuscito: anzi, The King’s Speech è un ottimo lavoro, un film sostanzialmente impeccabile che ha scovato tra le pieghe della Storia una vicenda quasi del tutto ignota che è allo stesso tempo comicamente buffa e profondamente significativa dal punto di vista storico, umano e psicologico, su cui si è costruita una sceneggiatura semplicemente perfetta, bilanciata in modo magistrale tra dramma e commedia, ritratto psicanalitico e metafora storica. Dal canto suo anche Hooper, che di rielaborazioni storiche ne sa qualcosa, lavora compiutamente per combattere l’indole più teatrale del testo, riuscendo a dare (con l’aiuto del direttore della fotografia Danny Cohen) un carattere “cinematografico” a un film che ruota fondamentalmente intorno a una battaglia per reimpossessarsi della parola, tramite un uso insistito dei grandangoli per esempio, e trovando un’impronta molto personale nella costruzione delle inquadrature. Ma in definitiva, se The King’s Speech è una gran bella storia d’amicizia (quasi d’amore), forse è merito della sua capacità, piuttosto rara nel cinema contemporaneo, di far sentire bene il proprio pubblico senza farlo sentire stupido.
L’unica cosa che trovo indiscutibilmente eccellente e straordinaria in The King’s Speech è invece la performance dei suoi due protagonisti: non soltanto Colin Firth, sulla cui interpretazione umana e al tempo stesso virtuosistica di Re Giorgio VI è tatuata indelebilmente una meritata statuetta (che poi la vinca o meno, anche in questo caso), ma anche un incredibile Geoffrey Rush nel suo ruolo migliore da molti anni, un sidekick da antologia, in cui dimostra una gestione dei tempi comici e una vena deadpan semplicemente irresistibile. Alla fine, il film si regge quasi interamente su di loro: una missione quasi impossibile che questi due giganti riescono a compiere – e apparentemente senza alcuno sforzo. Hai detto niente.
Nota: ho avuto la fortuna di vedere questo film in anteprima in lingua originale sottotitolata e, per ovvie ragioni, non riesco francamente a immaginare come possa essere stato doppiato – o meglio, come possa avere un senso doppiato in italiano.
Anche secondo me non ha senso doppiato: Firth parla esattamente come Giorgio VI, da brivido confrontarlo coi filmati d’epoca…..
A.
Anch’io l’ho visto in lingua originale. Già nel trailer c’è uno strafalcione… meglio non approfondire!
Sono stupita dalla sovrarappresentazione agli Oscar di un film, di certo bello, ma fatto soprattutto di sceneggiatura e interpretazione, proprio per questo questo credo che giudicarlo fuori dagli isterismi pre-Oscar sia la cosa migliore.
Un film che riesce ad emozionare così intensamente mettendo in scena un uomo che legge un discorso è senza dubbio un gran film. Nella sequenza del discorso sono arrivato quasi alle lacrime. Golden Globe strameritato per Firth e spero Geoffrey Rush si porti a casa la statuetta come non protagonista (anche se segretamente tifo per John Hawkes, ma la vedo dura).
Io l’ho molto amato, tanto quanto The Social network, suo contendente all’oscar, tanto è vero che chiunque vincerà tra i due, io sarò soddisfatto.
Confesso di averlo visto anche io in originale. Sono un fan del doppiaggio, ma mentre Firth riesce a sembrare incerto anche quando non balbetta, mi pare che la versione italiana abbia azzerato questa particolarità.
Nota a margine: pur con tutti i loro difetti, evviva gli americani/inglesi che riescono a filmare ciò che sembra infilmabile, e con ottimi risultati (questo, Social Network, 127 ore).
“…capacità, piuttosto rara nel cinema contemporaneo, di far sentire bene il proprio pubblico senza farlo sentire stupido”: bellissima questa tua osservazione. Film da consigliare senza ombra di dubbio
d’accordo su tutto.
Eccetto sul fatto che si regge sulle spalle dei 3 protagonisti, non 2
Senza il personaggio (e l’interpretazione) di HBC il film risulterebbe piu’ pesante e monocolore
Più che altro ho l’impressione che al doppiaggio questo film si snaturi del tutto, visto com’è costruito sulla parola e sugli accenti, che servono anche a rimarcare distanze sociali e nazionali, differenze culturali e di mondi.
ottimo film. Ho avuto l’occasione di vederlo gratis quindi l’ho visto doppiato… almeno sono riusciti a non strafare con idee strane. Certo in originale è tuttanartracosa