Parto col folle (Due Date)
di Todd Phillips, 2010
Quando ho visto per la prima volta il trailer di Due Date ho pensato, ehi, questo film assomiglia parecchio a Un Biglietto in Due – uno dei film di John Hughes più belli ma anche meno tra i meno citati non avendo degli adolescenti in divisa come protagonisti. Poi ho visto Due Date e ho pensato, ehi, questo film è Un Biglietto in Due. Ma proprio paro paro. Questa in realtà è quasi solo una notazione di costume: non c’è niente di male a fare un omaggio tale da sfiorare il remake non dichiarato; il problema qui non è mica il plagio, il problema è la debolezza del film. Nonostante le buone premesse, Todd Phillips non riesce insomma a replicare l’alchimia che aveva trasformato The Hangover in un caso commerciale senza precedenti e in una delle commedie americane più spudoratamente divertenti dell’ultimo biennio: qui ci si limita a mettere in campo un carattere ben definito e precisamente inquadrato, interpretato da Robert Downey Jr., e lo si fa scontrare con la pulsione anarchica che Zach Galifianakis secerne da tutti i pori anche quando sta immobile, stando fermi a osservare quali colori e suoni vengono fuori dalla loro banale e scontata deflagrazione. Ci si diverte, a tratti, indubbiamente, ma l’indubbia presenza scenica dei due attori non sembra bastare, anche perché Downey sembra svogliato e a Galifianakis tocca trascinare tutto il film più o meno da solo: difficile farlo però senza il supporto di una sceneggiatura intelligente che mostri coerenza e rispetto nei confronti dei personaggi e del pubblico (la follia bonaria di Ethan si sposta più spesso sui binari dell’irragionevolezza che su quelli di una, che so, sana cattiveria) oppure, in caso contrario, che sappia far esplodere veramente il film. Che invece è costruito su un’alternanza tra scoppi e quiete, si buttano giù i palazzi ma si dà tutto il tempo alle squadre della protezione civile di ricostruirli invece di insistere, di minare alle fondamenta, di distruggere tutti i palazzi intorno: e così è troppo facile. Unico momento veramente irresistibile, la comparsata (purtroppo breve) del grande Danny McBride allo sportello della Western Union: per il resto, la gag del cane che si masturba è un’adeguata cartina al tornasole. Non rimane che l’aggiornamento tiepido e un po’ sterile di un canone risaputo, rassicurante e “simpatico”: ci si può accontentare, ma è davvero poca cosa.
beh, un animale buffo in locandina e’ da sempre il segnale convenzionale per “film senza sceneggiatura”…
soprattutto quando è un cane che si masturba.
Ammetto pero’ che per qualche secondo, al grido di “hey, la presenza del cane dopotutto ha senso con il tipo di personaggio che interpreta Galifianakis”, ci ero cascato. Il tempo che si eccitasse. Dispiace soprattutto perche’ The Hangover al contrario era la prima commedia divertente con una sceneggiatura che si fosse vista da secoli.
Cacca.
Sarò ignorante, ma a me è piaciuto “abbastanza”, non proprio cacca.
Di sicuro non ai livelli di Una notte da leoni. Ma resta una buona pellicola, con alcune situazioni altrettanto esilaranti.