13 Assassins (Jûsan-nin no shikaku)
di Takashi Miike, 2010
Nella luce fioca di una stanza spoglia, una donna senza nome, senza braccia e senza lingua scrive a chiare lettere su un papiro la missione di Shinzaemon, chiamato dai consiglieri dello Shogun a porre fine alle angherie di Naritsugu, pazzo fratello dello Shogun. Le parole sono “massacro totale”, e non lasciano alcuna possibilità di tregua: Shinzaemon dovrà mettere insieme una piccola squadra di samurai allo scopo di uccidere il dispotico Naritsugu – e la battaglia sarà lunghissima e sanguinaria.
Ambientato agli ultimi sgoccioli dello shogunato, a pochi anni dall’avvento del Periodo Meiji che avrebbe in breve tempo trascinato il Giappone fuori dall’era feudale e dentro la modernità, 13 Assassins è il film della definitiva maturità di uno dei registi più prolifici, idolatrati e importanti del cinema nipponico nello scorso decennio: un’opera possente e furibonda sulla linea della gloriosa tradizione del jidaigeki che al tempo stesso ne segna un superamento radicale, segnato dalla decadenza e dall’ineluttabilità. I samurai perseguono la loro missione con stoicismo suicida e con una sorta di dolente e implicita consapevolezza, quella della fine di un’era, inseguendo l’ultimo baluardo di un eroismo pronto a essere dimenticato dal tempo – perdendo di colpo in colpo il controllo del proprio corpo, ma sempre e comunque lottando, fino all’ultimo respiro, all’ultima goccia di sangue, all’ultima convulsione.
Un’immersione appassionante, violenta ed estenuante in una concezione fuori dal tempo dell’onore e della giustizia che, nel percorso che porta allo scontro, predilige lunghe sequenze preparatorie (interrotte qua e là da autentiche fiammate) e che all’incontrollabilità del regista sembra sostituire un più adulto e controllato rigore – dietro al quale però si intravede con chiarezza l’anima visionaria e folle di Miike, il suo senso dell’umorismo improvviso e stordente e un’irresistibile fascinazione per la coesistenza tra realtà e mistero, tra umanità e leggenda.
Nei cinema italiani dal 24 giugno 2011.
Il doppiaggio nel trailer italiano e’ un abominio, NON si puo’ guardarlo che in originale…adoro le mucche kamikaze….^_^
A.
Dire che il film fa il verso ai sette samurai del grande Kurosawa mi sembra scontato. Il regista è evidentemente estremamente capace, anche se in alcuni tratti i dialoghi appaiono ridondanti e il finale è esageratamente lungo e irrealistico. Detto ciò, a parte la lungaggine e lentezza tipiche di un certo cinema nipponico, il film è sicuramente ben fatto e da vedere
@ giustina
il film è un remake del lavoro di Eichii Kudo del ’63 e le distanze da Kurosawa sono ben evidenti…non voglio accendere una polemica, ma perchè ogni volta che si vede un Chambarra ( o Jidai Geki) dobbiamo tirare fuori Kurosawa? non è stato nè il primo nè l’ultimo a fare un film di genere…non tutti quelli che fanno Western fanno il verso a John Ford sennò non avremmo avuto Leone, Peckinpah e compagnia…se la smettessimo di ridurre il cinema nipponico a quei 4 registi ( ozu, mizoguchi kurosawa e kitano) che citano su Cineforum e di ragionare in categorie di “lungaggine e lentezza” forse apprezzeremmo una geografia del cinema molto più varia della nostra….