Your Highness
di David Gordon Green, 2011
Se il film precedente dell’ex prodigio del Sundance convertitosi alla commedia, ovvero Pineapple Express (uscito da noi con lo sfortunatissimo titolo Strafumati), ha rappresentato una sorta di punto di arrivo della tradizione popolare della “stoner comedy”, una sintesi ideale e non priva di una sua autonoma dignità, è difficile considerare Your Highness come un superamento, bensì come una deviazione dimenticabile.
Danny McBride e Ben Best, autori del sorprendente piccolo film The Fist Foot Way e della stupefacente serie tv della HBO Eastbound and Down, prendono un canovaccio fantasy e vi applicano ancora il loro umorismo ormai inconfondibile (nonostante sia vicino a quello di Will Ferrell e soci) costruito interamente intorno all’attore-personaggio McBride e allo stampino ormai cristallizzato dell’antieroe egoista, sessista e vanaglorioso. E l’idea, come già in passato, non è quella di fare una parodia o uno spoof del fantasy, bensì un vero fantasy che faccia ridere: la differenza è enorme.
Ma nonostante le (buone) intenzioni, è paradossalmente proprio il lato comico del film quello a lasciare più interdetti. Il film di David Gordon Green è infatti girato e realizzato con grande cura (non si diventa un pessimo regista dal giorno alla notte), può contare sulla presenza ipnotica di Natalie Portman e sull’immediata simpatia di James Franco (che come ai vecchi tempi recita completamente a casaccio, visibilmente divertito), e soprattutto su production values di tutto rispetto: sarebbe quasi un bel fantasy, insomma, se gli sforzi dello script non fossero tutti indirizzati a una serie interminabile di sciocchezze triviali.
Ma ciò che caratterizza di più il film, e che segna la sua sconfitta, è la sovrapposizione assai maldestra dei toni: alcuni personaggi si comportano sempre e comunque in modo serissimo (la stessa Portman, per esempio), altri in modo totalmente ridicolo o parodistico, e anche nel racconto l’ambizione è quella di far convivere inventive scenografie e belle scene d’azione con idiozie come il vecchio saggio (una specie di Muppet fattone e pedofilo) o come il cazzo del minotauro portato al collo come un trofeo, senza che le due anime si divorino a vicenda: va da sé, è un proposito malfondato.
E poi c’è Danny McBride che con il suo cinismo sgradevole e volgare funge da catalizzatore e da osservatore esterno di questo caos, apparendo però, in definitiva, del tutto posticcio: se il protagonista assoluto del tuo film risulta non solo volutamente fastidioso ma accessorio e fuori posto non è una buona notizia per nessuno. Non è tanto il personaggio-McBride a non aver più molto da dire, si potrebbe dire, ma è il contesto fantastico a essere inadatto allo scopo: il meccanismo iconoclasta non funziona più se non c’è una realtà da sovvertire.
Non mi risulta sia ancora prevista un’uscita italiana, per il momento. In ogni caso, non voglio nemmeno pensare a cosa diventerebbe questo film doppiato e a quale titolo imbecille riuscirebbero a inventarsi stavolta.
Sua Sfattanza