L’ultimo terrestre
di Gian Alfonso Pacinotti, 2011
Come spesso accade con le opere prime, anche l’esordio di Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi, celebre autore di fumetti, è vittima di qualche ingenuità, della metafora troppo esplicita, della tentazione di spingere sul pedale del grottesco tralasciando magari elementi essenziali quali il rigore della sceneggiatura; ma ben più preziose, in fin dei conti, sono la sua audacia, la sua libertà visiva, evidente fin dalla prima sequenza, per non dimenticare la professionalità produttiva che si stacca con forza dalla media del cinema italiano. E, perché no, il suo talento: il film è pieno di momenti di grande forza espressiva (il culmine è forse la lunga e violenta scena ripresa dall’interno della macchina) che pongono pochi dubbi sulle sue capacità di metteur en scène.
Ispirandosi a un graphic novel di Giacomo Monti, Gipi racconta una storia bizzarra, tenera e feroce, che getta uno sguardo per nulla rassicurante su un’umanità sbandata, svuotata di morale e di senso, alla ricerca disperata di una salvezza o di una condanna, condividendo con il pubblico il punto di vista di un cameriere del Bingo, solitario, schivo, pavido e misogino, che sembra però in qualche modo possedere gli ultimi barlumi di umanità sul pianeta, a pochi giorni da un’apocalisse aliena che ne deciderà le sorti. Cedendo semmai nella seconda parte alla tentazione di rimettersi su binari meno inauditi e originali (e a un certo punto, colpevolmente, all’overacting di Roberto Herlitzka) ma mantenendo sempre un registro ironico e lo stesso gusto compositivo di impressionante precisione.
Gabriele Spinelli e Anna Bellato sono terribilmente convincenti, e sono loro la più bella sorpresa del film: quella di Gipi è forse ancora una promessa da mantenere, ci sono molte cose da sistemare e aggiustare, ma il suo primo film è senza dubbio un buon segnale per il futuro e, a modo suo, un esempio per gli esordi italiani a venire.
Invece a me proprio la scena violenta vista dalla macchina ha fatto pensare che a Gipi mancano le caratteristiche del metteur en scène. Mi è sembrata una tipica sequenza concepita da un fumettista, con il quadro sempre uguale nel quale cambia solo una parte. Insomma mi immagino proprio i frame del fumetto uno dopo l’altro. Nel film al contrario mi è sembrato che tutta la scena, compresa la parte poco dopo, quando siamo ancora in quel momento ma cambia l’inquadratura, manchi di ritmo e sia recitata un po’ peggio del resto del film. Che insomma a fronte di una buona idea sia deficitaria proprio delle componenti che vanno aggiunte passando da fumetto a cinema.
Concordo: livello medio alto, capacità di osare, di non adeguarsi ai canoni italiani, specie nella scelta delle facce ma storia che si perde con qualche leggerezza.
A me la scena violenta ha scosso per come riesce a esprimere la caratteristica incapacità all’ azione e la timidezza del personaggio: vero che è fumettistica ma funzionale.
Herlitzka è in alcuni momenti sopra le righe ma preferisco chi a volte dà l’impressione di eccedere come Timi, Servillo. I loro personaggi rimangono impressi.
Unico personale fastidio: la voce alla radio di Cruciani…proprio all’inizio. Avrei preferito non sentire quello sbruffone caciarone berlusconiano. O forse faceva parte della descrizione dello schifo?
Lo dico a prescindere: torni a fare fumetti. Non scambierei un ottimo fumettista con un buon regista. Il fumetto non è un’arte minore.
Non voglio star lì a ripeterlo, ché del film ne abbiamo già parlato, ma voglio esplicitare il mio voto totalmente negativo a questa pellicola.
Dal brutto al disturbante.