Melancholia, Lars Von Trier 2011

Melancholia
di Lars Von Trier, 2011

Se diamo per accertata la scaltrezza che lo contraddistingue, Lars Von Trier nel suo ultimo film sembra voler applicare alla lettera una considerazione sul cinema più diffusa di quanto non si voglia ammettere – e cioè, che la gran parte del pubblico si ricorderà soprattutto l’inizio e la fine del film. Così, il regista danese apre Melancholia con una sequenza di spaventosa bellezza, una decina di minuti (forse meno) composti da autentici tableau vivant (non a caso utilizzati massicciamente nella pubblicistica del film) con un uso del ralenti che ne moltiplica esponenzialmente l’intensità – uno stile che però viene immediatamente abbandonato all’apertura del film vero e proprio. Allo stesso modo, Trier chiude il film in modo tragicamente emozionante, con una ventina di minuti che svolgono alla perfezione lo spunto iniziale in funzione, finalmente, dei suoi due personaggi principali – peccato che per arrivare a tutto questo si debba passare attraverso un’ora di insostenibile celebrazione nuziale che va a scatafascio e che, se pure ha certamente lo scopo di costruire il personaggio di Justine, appare a giochi fatti come un’evitabile e lunghissima digressione, utile semmai al regista perché si muove su territori a lui più consoni. La sorpresa del film è che in realtà Melancholia risulta più interessante quando si sposta sul genere, anche se osservato da una prospettiva trasversale: se tra i due capitoli che compongono il corpo centrale del film il secondo funziona decisamente meglio non è soltanto a causa della radicalizzazione del contrasto tra Justine e Claire, né perché Charlotte Gainsbourg è più brava di una bellissima e stranamente acerba Kirsten Dunst, ma anche perché il film si riappropria di un senso di minaccia più comprensibile e universale, rimettendo in campo il gigantesco e ineffabile Melancholia – destinato a divorare questa Terra e i suoi piccoli stronzi uomini – e con esso una potenza e un mistero tale da trasformare l’infelicità umana nel sogno passeggero e malinconico di un piccolo pianeta già fantasma. Un film spezzato a metà, quindi, tra la suggestione e la tensione dei primi e degli ultimi minuti e uno studio di personaggi inefficace quando non irritante. Un’indecisione programmatica, ma che impone al film anche un freno emotivo non indifferente: forse era quello che voleva suggerire Trier, giunto ad una sorta di epitome nichilista, ma per questa umanità non è rimasta nemmeno una lacrima da versare.

16 Thoughts on “Melancholia, Lars Von Trier 2011

  1. La prima parte imho è indispensabile per creare il contrasto con la seconda. Nella vita normale (parte I) Justine è la pazza e Claire quella razionale. Ma quanto la situazione diventa folle (parte II) i ruoli si invertono. Justine è a suo agio con la fine del mondo, mentre le certezze di Claire crollano, e lei con loro. Poi magari la prima parte poteva essere più breve, ma non credo la si possa liquidare così facilmente perché è indispensabile al film nel complesso.

    • ma certo, le dinamiche del film sono chiare, e come ho scritto nel post la prima parte serve anche a costruire il personaggio di Justine e la sua relazione con Claire, ma c’è anche un sacco di altra roba che poi viene bellamente abbandonata a sé stessa – in ogni caso il problema per me non sta nel come è strutturato e nel perché è strutturato così, ma nel fatto che questa struttura è in definitiva piuttosto sgraziata e frammentaria. è evidente, non è mica “uno sbaglio”, Trier l’ha voluto fare così, ne riconosco il valore e la trasparenza, però a mio parere rimane un film riuscito solo a metà.

      • D’accordo sul fatto che la prima parte sia indispensabile, ma non per creare un contrasto con la seconda: le due parti sono perfettamente complementari. Poi si, mi rendo conto che per chi non si sente coinvolto personalmente dal tema del film – non l’apocalisse, ma la depressione e i suoi derivati – la parte di Justine può sembrare eccessivamente lunga o irritante o altro. (Io la trovo molto più tragica e devastante degli ultimi venti minuti, per esempio, ma è un problema mio).
        La sequenza iniziale e quella finale sono indiscutibilmente perfette, ma il film è in tutto quello che succede nel mezzo. Mi fa sempre sorridere sentire le persone dire: “Justine è pazza, Claire è razionale e poi si scambiano i ruoli”. Sono, per usare una terminologia poco delicata, “pazze” entrambe; potrebbero rappresentare due metà della stessa persona, in conflitto l’una con l’altra. Da qui la volontà di rendere la storia “sgraziata e frammentaria”. Oppure no, e sto semplicemente parlando dei fatti miei :)

      • carlo on 6 dicembre 2011 at 12:46 said:

        trovo che le due donne siano in realtà un’unica mente, quella di Von Trier, ora razionale, ora istintiva, legata a valori borghesi ma tesa alla ricerca di possibili vie di fuga. E quando nella grotta magica si trovano in tre, non a caso c’è anche la parte di noi, il bambino, che non ci abbandona mai. Per me è un capolavoro, è così bello che vorrei urlare (e non sono mai stato un amante di Lars e del suo dogma… sia chiaro!)

    • Maurizio on 30 dicembre 2012 at 01:35 said:

      Va bene. La prima parte è tutto il film e tutto il suo contenuto che esprime magnificamente tutto il corpo di Justine, ripreso e fotografato con grazia e perfezione da Trier. Lei è bellissima ma Trier la Trasfigura. Il Resto è Storia Umana ….

  2. Io i titoli di testa li ho trovati bellissimi, ma talmente inutili e decontestualizzati che me li sono dimenticati quasi subito.
    Così come la prima parte, interessante ma totalmente fine a se stessa. Diciamo che il film parte a metà e da lì in poi va con il turbo.

  3. Stefano on 4 novembre 2011 at 10:01 said:

    Io credo che a Trier interessino i contenuti. Sul metodo con cui girare film si è sempre contraddetto, venendo meno ai patti da lui stesso stipulati. Così come distrugge la ritualità del matrimonio, distrugge la ritualità del cinema. Crea una struttura iniziale, poi se ne frega. Fare un film sulla fine del mondo con la telecamera appiccicata ai volti dei protagonisti è geniale.

  4. vespertime on 4 novembre 2011 at 17:17 said:

    Daccordo con Niccolò Caranti. Comunque vorrei dissentire sul fatto che la prima parte serve a costruire il personaggio di Justine. e’ in parte vero ma in parte e’ un lungo prologo che ci mostra la nostra societa’ e come Trier la vede. Justine e’, di base, un Trier con la Parrucca che non si trova a suo agio con le regole, che affronta un mondo descritto simbolicamente da tutta la prima parte. Una sorella organizzatrice con il marito scienziato, gli ospiti, il capo che preme per il lavoro, il galoppino, i genitori egoisti (a modo loro entrambi) che riversano i loro mali sui figli. Insomma la prima parte la trovo indispensabile per potersi godere appieno la seconda dove tutto viene scardinato e l’instabilita’ diventa stabilita’. Per non parlare dei diversi modi in cui viene affrontata la depressione, cosi’ tanto destabilizzante nella prima parte ma al contrario stabilizzante nella seconda quando tutto non ha piu’ controllo. Personalmente sono rimasto molto colpito da questo film reputandolo una delle migliori opere di Trier in assoluto.

  5. mi aggrego anch’io al comitato di difesa del primo atto! E che cacchio se no gli applausi se li prende sempre il centravanti e il mediano niente !

    Cmq davvero la sequenza d’apertura e quella di chiusura sono di una bellezza da far male

  6. Giustina on 9 novembre 2011 at 18:59 said:

    Forse sarà perché amo segretamente la Dunst da quando l’ho vista per la prima volta (come attrice) in intervista col vampiro e dopo (da ragazza) nel giardino delle vergini suicide, ma a mio modesto parere, a parte il solito approccio istrionico del famelico Trier, chi tiene in piedi la baracca, che in alcuni momenti centrali rischia di stufare, è proprio la fantastica interprete di Maria Antonietta. E’ il personaggio chiave della storia che si dipana e si incentra nella naturalezza disarmante dell’interpretazione di Kistern. Lunatica, spensierata, depressa e malinconica; folle. Il ventaglio espressivo che riesce a trasmettere l’attrice di origini tedesche è quasi completo: inquietante nei suoi cangiamenti; pugnace e pedante nel trasmettere il il leit motiv del film. Semplicemente meravigliosa.

  7. Tonia on 12 novembre 2011 at 16:12 said:

    Questo film è un’opera d’arte rara.
    La scena con Claire, magnificamente interpretata da Charlotte Gainsbourg, che tenda di fuggire chissà dove poi, esprime in maniera struggente la follia del mondo, che pensa di potersela ad ogni modo cavare, qualsiasi cosa accada, nonostante essa continui a perpetrare guerre, distruzioni ambientali, genocidi e pazzie di ogni sorta e genere. Come se la legge di causa e effeto non valesse per tutti e tutto.

  8. marziano on 14 novembre 2011 at 20:32 said:

    ragazzi ma sta storia della depressione di justine dove l’avete vista?
    cioè lo sapevate già, prima del film?
    a me è sembrato malessere esistenziale ma non è depressione.
    il fatto è che justine coglie il senso ultimo della caducità delle cose senza fingere o accontentarsi (prima parte) e, infatti, quando queste caducità arriva davvero – melancholia che schianta la terra – essa si trova a suo agio mentre l’altra sclera di brutto (seconda parte).
    una teme la morte, l’altra no perchè già da prima intravedeva “la fine” delle cose.
    in greco però la “fine” è anche il “significato” (telos) e da qui un certo nichilismo c’è è in effetti sembra dire: se gli uomini sono così stronzi (per dirla con checco) allora tanto vale.

  9. Pietro on 18 dicembre 2011 at 19:08 said:

    Un film nichilista, fatto da un depresso che parla della sua depressione e del senso di vuoto esistenziale che dà appunto la depressione. Chiamarla “malessere esistenziale” non cambia il discorso…. la depressione è appunto malessere esistenziale per definizione!
    C’è persino una nota di becero e arcigno profetismo apocalittico protestante-evangelico (Von Trier ha la disgrazia di essere nato in un paese protestante, che non è una disgrazia molto minore dell’essere nato in un paese cattolico o musulmano) quando la depressa Justine, che crede di essere onnisciente (e quella poveretta di Claire, malata di troppo amore per la sua zavorrante sorella, non sa opporsi alle sue convinzioni), afferma che l’uomo è solo nell’universo, che è vuoto e morto, e presto anche la Terra sarà morta, perché “la vita è corrotta”.
    Probabilmente Lars Von Trier voleva esprimere la rabbia dei depressi per l’egoistica indifferenza che avvertono (a torto o a ragione, non voglio qui discutere) da parte di chi gli sta vicino di fronte ai loro mali, espressi nelle figure di quei due vecchi stronzi dei genitori delle due protagoniste, e nel marito di Claire, che vigliaccamente si suicida da solo, abbandonando la famiglia ad affrontare da sola la morte, non appena si rende conto che non c’è più speranza per nessuno.
    Messaggi nel film?
    Un film molto deludente, senz’altro, di un regista che ritengo sopravvalutato. D’altra parte, Von Trier non mi è mai sembrato un mostro d’intelligenza.

  10. Giulia Pasini on 22 gennaio 2012 at 20:16 said:

    E’ stato definito un film “non per tutti”:é da sconsigliare a tutti coloro che non accettano di farsi ammaliare dalla bellezza fino a star male, che non si lasciano stregare dalla folle arte di Von Trier e dai suoi puntuali richiami alla cultura europea, dal suo travolgente nichilismo che non rinuncia ad una presa di posizione e che, dunque, non lascia lo spettatore davanti al “nulla”, ma lo pone ironicamente, inesorabilmente, crudelmente di fronte ad un duplice quesito:
    - Come vivresti gli ultimi istanti di vita del pianeta, se tu conoscessi la data della fine?
    - Preferiresti morire suicida e disperato, anticipando il destino, o avresti la forza di attendere stringendo forte la mano di tuasorella e guardando negli occhi un bambino che sorride fiducioso?
    Trovo meravigliosamente rassicurante, inoltre, che non la salvezza, ma la consapevole serenità di fronte alla fine venga da immagini della natura (benigna, maligna, leopardianamente indifferente???) da un bambino, da una donna considerata folle.
    Perfette le atmosfere, accompagnate dalla musica di Wagner che ci riportano ad autori come T.Mmann, D’Annunzio, O.Wilde, J.K. Huysmans che hanno rappresentato nelle loro opere la società europea in piena crisi tra le due guerre. Certamente uno dei film più belli che ho visto.

  11. Carl on 25 gennaio 2012 at 13:14 said:

    Avete detto tutto…anche io come il mio omonimo avrei voglia di urlare, ho provato una gioia infinita a potermi misurare con questo film e tutte le parole mi sembrano comunque inutili, non le voglio trovare e non le trovo, e non trovo nemmeno un urlo,che alla fine è lo stesso di Justine, quello che arriva a non farla camminare da sola..

  12. marco on 17 febbraio 2012 at 22:55 said:

    Un film che mi ha colpito ed emozionato. Sono in accordo con chi ha detto che Justine nella prima parte del film si sta progressivamente staccando dalla vita come sapesse che la fine è vicina. Sotto questo sguardo la prima parte si fa più interessante. La seconda parte è molto coinvolgente, un crescendo rossiniano fino ad un finale indimenticabile. La musica, la successione dei tre volti: quello tranquillo e consapevole di Justine, quello diperato di Claire e la fiducia totale del ragazzino. Gli ultimi secondi sono paralizzanti. Mi sono scese le lacrime e al cinema non mi era mai accaduto.

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