L’alba del Pianeta delle Scimmie (Rise of the Planet of the Apes)
di Rupert Wyatt, 2011
L’ultima volta che qualcuno ha provato a riportare la saga di Planet of the Apes al cinema, lo sappiamo, non è andata nel migliore dei modi: il film di Tim Burton uscito ormai 10 anni fa, un blockbuster cupissimo e non proprio equilibrato, ebbe (in pochi lo ricordano) un enorme successo commerciale, ma venne anche universalmente (e spesso ingiustamente) maltrattato – e i fan più intransigenti del regista non gliel’hanno mai perdonato. Questo reboot, che prende lontanamente spunto da alcuni capitoli della saga originale, cerca di riportare, non con un prequel ma con una compiuta “storia delle origini” su cui impiantare una nuova serie, l’interesse del pubblico sulla storia della conquista della Terra da parte dei primati, proprio allontanandola da velleità (e aspettative) autoriali; e riuscendo in definitiva nell’impresa non facile di confezionare un film avvincente e intelligente capace di accontentare pubblico e critica. Parte di questa riuscita la si deve ovviamente all’evoluzione tecnologica che permette al film di Wyatt di essere anche una sorta di showcase della Weta, esemplificazione strabiliante dello stato dell’arte per quanto riguarda l’integrazione tra live action e CGI; ma è proprio nell’interpretazione (epocale, nel suo ristretto genere) del solito Andy Serkis che si trova la chiave del successo dell’operazione: a costo di non essere certo esente da qualche ingenuità, Rise è un film che nel turbinio dell’azione hollywoodiana e della meraviglia binaria non dimentica mai di curare e accarezzare il suo lato umano. Anche se ha le fattezze di uno scimpanzé.