Come i più attenti avranno notato, a novembre sono stato via qualche giorno. Sono andato lontanuccio. E ho fatto dei lunghi, lunghissimi voli aerei. Durante i quali, a dire il vero, non avevo molta voglia di vedere film – infatti ne ho visti solo tre. Questi tre. La nota puntigliosa è che la qualità e la grandezza dello schermo permetteva una visione di discreta qualità, ma trattandosi di una condizione così peculiare (e non volendo più rimandare) per stavolta ho deciso di venir meno alla rigidità del format e di metterli tutti insieme.
The Help
di Tate Taylor, 2011
Il problema, nello scrivere di un film come The Help, è che i suoi elementi più interessanti stanno al di fuori del film; argomenti che non ho tempo, né voglia, di toccare qui. Per dirne uno: quanto c’è di veritiero, quanto di onesto, e quanto di sottilmente offensivo da un punto di vista storico-sociale nella storia della ragazza emancipata che aiuta le “governanti” di colore nel sud degli Stati Uniti a sfogare letterariamente gli ultimi (tra virgolette) retaggi dello schiavismo? Il film in sé, va detto, è assai meno stimolante delle polemiche che può suscitare, ma preso a sé stante funziona alla perfezione: si tratta di un “Oscar Movie” fatto e finito, ma è tenuto in vita per tutta la sua (notevole) durata dal suo eccezionale cast tutto al femminile, tra cui spiccano l’ottima Viola Davis (l’unica a recitare con un po’ di understatement, e infatti è la migliore del gruppo), un’adorabile Jessica Chastain e una fantastica Octavia Spencer, mentre Emma Stone per una volta risulta un po’ fuori posto. Bryce Dallas Howard spinge sul pedale dell’eccesso e della macchietta, finendo però per regalare un personaggio autenticamente irritante – ed è un complimento.
The Beaver
di Jodie Foster, 2011
Potrei ricopiare quanto ho scritto per The Help, e stavolta riguarderebbe, ovviamente, lo scontro tra attore e personaggio. Ma in questo caso il paratesto, diciamo così, fa parte del gioco: non c’è dubbio che la scelta di Jodie Foster di raccontare l’esaurimento nervoso di Mel Gibson alla luce delle vicende personali dell’attore contribuisca non poco a rinforzare il suo film – un dramma psicologico dalle venature bizzarre che riesce a riportare però, con il giusto dosaggio di ironia e patetismo, una trama quasi irraccontabile su binari sostanzialmente digeribili. Al minutaggio del film però non basta il ben definito e coinvolgente percorso di ascesa e caduta di un mostruosamente bravo Gibson, a cui affianca quindi quello del figlio Anton Yelchin, che occupa un buon terzo del film pur essendo del tutto accessorio – se si esclude la solita, incredibile Jennifer Lawrence.
Contagion
di Steven Soderbergh, 2011
Non ho certo visto tutti i film di Steven Soderbergh, scaltro e altalenante regista per cui – lo ammetto – non provo particolare simpatia, ma ho l’impressione che Contagion possa davvero essere il suo film migliore. La cosa certa è che si tratta di uno dei thriller migliori dell’anno: un’Apocalisse sanitaria orchestrata con classe e cinismo, accompagnata dalla colonna sonora perfetta di Cliff Martinez (in stato di grazia, tra questa e quella di Drive) che sfrutta alla perfezione gli elementi base della paura del contagio e un cast assurdamente ricco – spezzando però la più tradizionale coralità: i personaggi non si incontrano quasi mai tra di loro, sono perlopiù isolati, perduti o disperati, quando non propriamente vittime del sadismo del regista. La grande differenza che rende ancora più efficace Contagion è che qui non è “l’errore umano” a scatenare il contagio, ma un’incontro tra il Caso e il sistema globale – un incontro che ci scopre molto più fragili di quanto pensiamo, al di là della nostra scienza e della nostra volontà. Soderbergh non nasconde di fatto un certo interesse per una riflessione quasi satirica (la burocrazia farmaceutica, lo sgradevole blogger di Jude Law) ma il suo interesse è altrove, concentra tutte le sue energie sulla messa in scena, e il risultato è un horror teso ed entusiasmante, con un finale che è uno schiaffo in faccia, una risata beffarda e un presagio oscuro.
Me li volevo vedere i primi due, il terzo mi è piaciuto sebbene si perda molto nel finale e sebbene la parte di Marion Cotillard diventi ridicola a un certo punto….
Te ne consiglio due:
In Time (solita fantascienza ragionata e di classe di Andrew Niccol)
We need to talk about Kevin, film STRATOSFERICO a cui darei un oscar subito a tutto il cast e al regista…