A Dangerous Method
di David Cronenberg, 2011
Non c’è dubbio che la performance di Keira Knightley, eccessiva e volutamente sgradevole, insieme sgraziata e da prima della classe al corso di teatro del ginnasio, contribuisca non poco a definire A Dangerous Method. Allo stesso modo, è piuttosto chiaro che quella di contrapporre la recitazione algida di Michael Fassbender a quella sopra le righe dell’attrice è una deliberata scelta di direzione d’attori che va di pari passo alla narrazione e alle mutazioni incrociate dei due personaggi. Ma se questo contrasto sta al cuore del film (e nel primo impressionante colloquio-incontro tra i due regala uno dei momenti più personali e incisivi del film, ben più che le successive e più discusse sculacciate) alla lunga gli taglia le gambe: perché dopo un po’ il primo risulta più che altro legnoso, la seconda solo irritante. Cronenberg, dalla sua, fa davvero pochi tentativi per uscire dai vincoli dell’origine teatrale, A Dangerous Method non è certo un film brutto o insignificante, ma è piatto, inerte, ed è difficile riconoscere la mano di un autore così grande e potente; che sembra divertirsi a tratti con il rapporto tra Jung e la sua paziente/amante Sabina Spielrein (molto più che con quello tra Jung e Freud, interpretato da Mortensen con una maschera spessa che ne cela la sensibilità), ma troppo spesso abbandona il film a se stesso, schiavo della sua stessa insistita verbosità. Tra calligrafie e tediosi carteggi, guizzi improvvisi (lo svenimento di Freud, qualche focale doppia che interrompe il ritmo sonnolento del campo/controcampo, la bizzarria solo accennata dell’interesse di Jung per il paranormale, la passeggera comparsa di Cassel) rimessi però sempre a bada in fretta, avanza senza particolari sofferenze e si chiude senza lasciare molto di sé, con un’apertura inquietante alla prospettiva storica sul novecento a venire che appare però un po’ posticcia. Tutto sommato perdonabile, se non si trattasse di David Cronenberg. Ergo, imperdonabile.