La pelle che abito (La piel que habito)
di Pedro Almodóvar, 2011
In linea di massima, ho una conoscenza abbastanza approfondita dei miei gusti (e dei miei pregiudizi), ma nel caso dell’ultimo film di Almodóvar diverse reazioni particolarmente accese (di segno negativo, si intende) mi avevano convinto a tralasciarlo, a rimandarne la visione a tempo indeterminato. Fortunatamente ho deciso di tornare sui passi del mio (positivo) pregiudizio iniziale: La piel que habito è un film acceso e sorprendente, sregolato eppure terribilmente coerente, divertito e altrettanto divertente. Certo, è assai facile da disprezzare: scombinato, fallace (il finale moscio, alcune lungaggini, personaggi secondari abbozzati), esibizionista, e pressoché assurdo – che forse è anche un altro modo per dire passionale, sfrontato, provocatorio e vivo come sono i migliori film del regista. Che qui affronta temi a lui cari intrecciando ossessione amorosa e identità di genere ma filtrandoli attraverso un racconto che mescola il cinema horror d’autore con un melò fuori controllo; Almodóvar usa la splendida Elena Anaya come un’arma e sfida gli spettatori, le loro aspettative e le loro abitudini (soprattutto quelle legate alla narrazione e al transfert del desiderio sessuale) con perfidia e con ironia, con consapevolezza di sé (incluso il proprio stile e la propria filmografia) ma anche con una faccia tosta che può comprensibilmente attirare l’antipatia del pubblico: La piel que habito è un gioco che vive di un suo dettame interno che ha poco a che fare con il raziocinio e col rigore – ha tutto a che fare con la mania, la malattia, il tormento e – va da sé – con il cinema. Abbracciate senza troppe inibizioni le sue istanze, e accettato il fatto che non tutti i film di un regista amato debbano essere per forza intoccabili capolavori, La piel que habito è uno spettacolo follemente appassionante.
No, non sono ancora pronto per vederlo…mi inquieta. Ti segnalo un refuso: si scrive “habito” e non abito…qualora ti potesse interessare, la sillaba tonica è la penultima….ciao Sol
E pensa che lo sapevo pure. “Sono un po’ convalescente” vale come giustificazione? Ho corretto, grazie.
Infatti ho parlato di refuso ;-)…per completare l’opera, c’è da correggere anche l’ultima frase…e poi è perfetto ;-))
mah, a me più che provocatorio è sembrato davvero moscio…
un thrillerino bruttarello
Beh, da Almodovar accettiamo da sempre senza riserve qualsiasi trama assurda, personaggio sopra le righe, cambio di registro senza senso, eccetera. Perche e’ un genio, e sa come proporceli, forte di quella passione che ci entusiasma e travolge.
Ma stavolta…no. proprio no. La sensazione e’ che non ci creda più lui per primo al suo cinema, e il risultato è quasi sempre imbarazzante.
A me era piaciuto, l’aveto trovato piacevolmente trash e con una conclusione assurdissima!
Sconcertante, non me l’aspettavo. L’unico punto negativo era la recitazione un po’ bolsa di Banderas….
Bene. Giusto. Bravo.
Concordo pienamente. Follemente appassionante.
Ho amato molto La pelle che abito, sono fermamente convinto che Almodóvar abbia studiato Rosalind Krauss e la visione portata avanti dalle da lui stesso citate opere di Louise Bourgeois. Per me è nel concetto di inconscio ottico che sta la chiave del film.
Un caro saluto
Salv.
Di certo non uno dei suoi migliori. L’hanno chiamata la svolta horror di Almodovar ma io ci ho trovato tutti gli elementi del suo cinema…un pò più moscio e meno irriverente del solito…
La mia recensione qui
http://dino-freezone.blogspot.com/2012/01/la-pelle-che-abito-2011-di-pedro.html