Mission: Impossible – Protocollo Fantasma (Mission: Impossible – Ghost Protocol)
di Brad Bird, 2011
I film ispirati alla serie tv Mission: Impossible sono stati sempre caratterizzati da un approccio curioso, e piuttosto inusuale per i cosiddetti blockbuster, per il quale a una costante produttiva (Tom Cruise, Paramount) si è accostata una variabile artistica rappresentata dalla “firma forte” dei registi coinvolti: Brian De Palma, John Woo e J.J.Abrams hanno trasferito di volta in volta nei film precedenti la loro poetica in modo molto evidente, ma è stato forse l’incontro tra quest’ultimo e Cruise a segnare un cambio di rotta.
L’arrivo di Brad Bird dietro la macchina da presa, sempre sotto l’egida della Bad Robot di Abrams, riporta infatti l’attenzione sul puro entertainment, allontanandosi da ambizioni autoriali per abbracciare in toto la ricchezza produttiva: in tal senso, Ghost Protocol risulta forse il meno personale dei quattro film, il meno originale, peculiare e riconoscibile; ma d’altra parte è indubbiamente il più onesto, e forse persino il più divertente: non è un caso la scelta di Bird, che in passato ha sfornato due capolavori dell’animazione ma all’interno di una struttura davvero industriale (pur se illuminata) com’è la Pixar. Qui il regista di Gli Incredibili e Ratatouille se ne sta infatti perlopiù schiscio, tirando fuori il cuore soltanto quando non te lo aspetti più – cioè, negli ultimi 5 minuti.
La scelta ha ripagato immediatamente: quasi 600 milioni di dollari incassati su un budget di circa 150 ne hanno fatto il più redditizio della saga. Ma tolta di mezzo la curiosità stilistica, qual è il punto di forza di questo quarto capitolo? Prima di tutto, il cast: certo, Tom Cruise si prende ovviamente il grosso della torta, ma Jeremy Renner è una spalla action perfetta e merita la nomea di co-protagonista; Paula Patton è meno immediatamente irresistibile di una Thandie Newton, ma alla fine porta a casa una prova assai convincente; infine Simon Pegg, promosso in tutti i sensi rispetto al terzo capitolo, è un comic relief che per una volta funziona a dovere, supportato da dialoghi adeguati (i due autori della sceneggiatura, come al solito terribilmente intricata, vengono da Alias e Happy Town) che a volte giocano con i cliché della saga e più in generale dell’action spionistico (“Il conto alla rovescia non è d’aiuto”, “La prossima volta il riccone lo seduco io”) ma anche con la consapevolezza del pubblico – nonostante spesso si scelga semplicemente di fidarsi della cara, vecchia, sana sospensione dell’incredulità.
Perché con la giusta dose di ingenuità spettatoriale, sequenze come quella del Burj Khalifa di Dubai o quella nel parcheggio automatico verso la fine del film sono in assoluto le cose più clamorosamente spassose che vi capiterà di vedere questa stagione: roba da saltare sulla sedia e battere i piedini, e senza nemmeno bisogno di mettersi un paio di occhiali. Se invece non state al gioco, si fa presto: nella sala accanto proiettano un altro film. Dopotutto, mica si chiama Missione Plausibile.
A “schiscio” ho smesso di leggere.
Eppure portare i “benpensanti” a vedere un film con Tom Cruise è più difficile che portarli a vedere un Transformers qualsiasi.
Maledetti loro.
Contento della rece. Ci vado da solo alla faccia loro.
Io il film l’ho trovato bruttone come tutti gli altri della saga, è sempre la solita noia.
Finalmente qualcuno che scrive “Ghost Protocol risulta forse il meno personale dei quattro film, il meno originale, peculiare e riconoscibile”. Riguardo la comicità però Ving Rhames tira fuori una battuta che vale quanto tutte quelle fatte da Simon Pegg, stimolando in Cruise un sorriso assente per tutto il film.
Siamo davanti a forse l’unico mission impossible dotato di un sottotesto: il fallimento della tecnologia, e forse anche la sua ostilità nei confronti dell’essere umano. Anche se non scommetterei sull’intenzionalità della cosa…