In Time
di Andrew Niccol, 2011
“Don’t waste my time.”
Una delle costanti del cinema di Andrew Niccol in passato, se si esclude il ben differente (e deludente) caso di Lord of War, è stata l’esasperazione di tematiche contemporanee nella forma di rappresentazioni distopiche, più o meno futuristiche: le minacce eugenetiche di Gattaca (tutt’oggi il suo film più bello), la digitalizzazione e/o morte del cinema nel sottovalutato S1m0ne, senza dimenticare la sceneggiatura di un capolavoro come The Truman Show di Peter Weir. In questo suo ultimo film Niccol parte da una brillante idea fantascientifica – compiuti i 25 anni non invecchi più ma devi guadagnarti il resto del tempo, divenuto unica moneta corrente – per rappresentare una sorta di satira delle diseguaglianze economiche che parte appunto dall’ossessione per la conservazione del corpo: perché gli esseri umani non sono tutti 25enni, ma sono anche (quasi) tutti belli o bellissimi. Il problema è che Niccol è bravo a mettere i pezzi al loro posto – e gli si riconosce il merito di essersi ostinato a fare “l’autore” all’interno del genere, almeno fino a questo film – ma decisamente meno a suo agio quando si tratta di mettere in moto la partita. La sceneggiatura compiaciuta ma involuta è senza dubbio l’aspetto più deludente del film (quanti altri giochi di parole sul lemma “time” possono esserci nei dialoghi di un film che si intitola in questo modo?) e né la cura spettacolare dell’apparato visivo, con il grande Roger Deakins alla fotografia, né l’insistenza di Niccol a giocare in modo divertito e inquietante con il paradosso (“queste sono mia suocera, mia moglie e mia figlia”) bastano ad allontanare la sensazione di meccanicità, o meglio ancora di massacrante pigrizia. Più che una partita a scacchi è una pista di macchinine già montata, di cui conosciamo non solo la destinazione ma la forma del tracciato. Delle riflessioni ambiziose sul presente che Niccol nascondeva dietro la sua apparente freddezza analitica qui non è rimasto molto: gli spunti sono assenti oppure, peggio ancora, sbattuti in faccia allo spettatore; per il resto rimane un luccicante e a tratti incantevole involucro vuoto – allo stesso modo in cui gli attori, di folgorante bellezza e fascino, vengono lasciati a sé stessi, a vagare imbambolati sulla scena.
sigh… questo e’ un film da cui mi aspetterei tanto perche’ amo Niccol dai tempi, ovviamente, di Gattaca e Thruman Show. Sigh.
insomma, il film è una palla, è verboso e nun succede niente
Ho visto che uscirà venerdì dalle mie parti.
Non mi ispirava, e dopo questa recensione mi sa che avevo ragione!
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Ma tu DAVVERO VERAMENTE insisti a dire che Justin Timberlake è fascinoso e “di una bellezza sfolgorante” ?? O.o
fa così incazzare per il dileguarsi dei bei presupposti iniziali e per la generale riuscita metafora di fondo del presente – che ti viene voglia di dire “lo rifaccio. Sì, lo rifaccio sto film. Subito”. Sempre la figa da sbattere in mezzo alla sceneggiatura e far deragliare il già penoso timberlakechepainge nel timberlake che fa il robinhoodderfuturo. PleasE.