My Week with Marilyn
di Simon Curtis, 2011
Era facile intuirlo, ma il film di Simon Curtis (al suo esordio al cinema dopo una lunga carriera televisiva), uscito dopo un’interminabile gestazione, riesce a stare in piedi o forse persino a farsi sopportare quasi esclusivamente grazie all’interpretazione di Marilyn Monroe fatta da un’incredibile Michelle Williams. Non era un’impresa da poco, vestire i panni di una delle più grandi e ingombranti icone del novecento senza cadere nell’imitazione fine a se stessa: lo dimostra la prova, piuttosto forzata e sempre a un passo dalla macchietta, di Kenneth Branagh in quelli di Laurence Olivier. Un compito svolto dall’attrice con una bravura davvero straordinaria, non solo o non tanto per l’impressionante fotocopia di Marilyn in cui è riuscita a trasformarsi, ma per la sua naturalezza e per la sua spontaneità; il resto del film, al contrario, è di un’ordinarietà abbastanza sconfortante: nonostante i tentativi di una regia piatta, senza idee e di una sceneggiatura che sceglie comunque e sempre tutte le strade più facili affidando unicamente al cast (impegnato in una tiepidissima gara di somiglianze) il compito di stupire il pubblico, il film soffre dello stesso comprensibile incanto nei confronti del mito di cui è vittima il personaggio di Colin, e in definitiva racconta l’incontro con una specie di distacco che la trasforma, di nuovo, in una figurina fascinosa ma bidimensionale: un vero spreco. Provoca quindi un fastidio ancora maggiore quella spiccata presunzione del film, forse ereditata dai testi d’origine, di aver trovato una chiave del mistero di Marilyn; meno male che la Williams, tutta da sola in barba alla mediocrità del film, riesce con una punta di ironia a suggerirci che anche quello di Colin, e per estensione del film, è l’ennesimo tentativo fallito di svelare il suo segreto.