Game Change
di Jay Roach, 2012
Tra le performance femminili più applaudite della stagione, come spesso accade, ci sono alcune fedeli interpretazioni di personaggi storici di enorme riconoscibilità: la Margaret Thatcher di Meryl Streep, per esempio, o la Marylin Monroe di Michelle Williams, capace di rileggere l’icona pop novecentesca per eccellenza senza incappare nel rischio della sterile imitazione.
Il caso di Game Change è persino più clamoroso: in questo film per la tv trasmesso dalla HBO che racconta l’intensa campagna di Sarah Palin per la vicepresidenza degli Stati Uniti nel “lontano” 2008, Julianne Moore veste i panni dell’ex governatore dell’Alaska calandosi nella parte con una furia mimetica che ha davvero pochi precedenti – o che forse colpisce più del solito a causa della ridotta distanza temporale dal modello – e che rappresenta in qualche modo l’opposto del metodo della Williams: riportandone sullo schermo il look, i tic, il particolarissimo accento, persino dettagli come il ritmo della parlata, l’attrice scompare completamente in una formidabile quanto inquietante fotocopia.
Una prova mostruosa che però non aiuta il film a decollare, o forse contribuisce a determinarne il fallimento: purtroppo Game Change è un film terribilmente piatto e noioso che tradisce l’origine e la destinazione televisiva molto più di quanto ci si potesse aspettare dalla sua prestigiosa sede. E non sono d’aiuto né l’univocità della prospettiva democratica da cui la campagna repubblicana è narrata, né d’altra parte la scelta di ritrarre John McCain e Steve Schmidt con visibile rispetto – perché toglie al film ogni possibilità di infilare davvero le unghie nelle pieghe della storia. La tracotanza della Moore, invece, la distacca da qualunque tentativo di contenimento: è una specie di organismo autonomo che si muove a prescindere dal film, da cui esce un ritratto spietato, disturbato, umano e tridimensionale, ma che finisce per rosicchiare i pochi motivi di interesse rimasti attorno a lei.
Il meglio sta quasi sempre ai margini o fuori dal testo: non è un caso che l’esito migliore del film sia il video amatoriale che confronta le apparizioni pubbliche della Palin con la “versione” della Moore, o che la sequenza più bella del film sia quella in cui la Sarah Palin di Julianne Moore guarda sconvolta in tv la Sarah Palin di Tina Fey nel celebre episodio del Saturday Night Live. Una fiammata di genio, benché necessaria, all’interno di un film davvero limitatissimo.