Dark Shadows, Tim Burton 2012

Dark Shadows
di Tim Burton, 2012

Da qualche anno a questa parte, quando si parla di Tim Burton è bene specificare da quale parte della barricata ci si trovi. L’orribile Alice in Wonderland da una parte e il meraviglioso Big Fish dall’altra sono forse gli unici due suoi film degli ultimi 15 anni a mettere d’accordo quasi tutti: per il resto, molti suoi fan nel corso del tempo si sono allontanati a causa di alcuni titoli che avrebbero “tradito” il cuore più amato della sua filmografia, diventando ripetitivi, meccanici e fasulli. Giusto per capirci, io me ne resto dall’altra parte della barricata: per esempio, considero Sweeney Todd un grande musical sanguinario penalizzato forse da musiche poco più che mediocri, La Sposa Cadavere era il mio “numero tre” tra i film usciti nel 2005, La Fabbrica di Cioccolato e Planet of the Apes sono due film riusciti solo a metà ma troppo spesso ingiustamente maltrattati. Difendere Tim Burton però non è un’impresa semplice, richiede dedizione e pazienza, anche perché il regista americano non fa nulla per distanziarsi dalle manie che gli vengono attribuite.

Mi piace immaginare, anche se sono già del tutto certo che non accadrà, che Dark Shadows possa tornare a riportare la pace tra difensori e detrattori. Tratto da una “soap con vampiri” degli anni settanta, un curioso oggetto vintage quasi del tutto dimenticato e riesumato con un affetto privo di eccessiva riverenza, il film è infatti davvero un gran divertimento. Al di là di una gestione dei registri forse un po’ pasticciata – ma quantomeno trascinata da una vivacità che Burton sembrava aver perduto – sa giocare con i cliché del period movie e con quelli dello stesso gotico burtoniano, mescolando in modo inusuale i consueti omaggi cinefili agil stilemi della soap opera televisiva. Lo sceneggiatore Seth Grahame-Smith, diventato una penna richiestissima dopo il caso di Pride and Prejudice and Zombies, non si preoccupa troppo di nascondere le metafore agli occhi del pubblico e preferisce sfoggiare una repertorio comico da time travel che sfrutta ogni variante della sua premessa (l’uomo settecentesco alle prese con le bizzarrie degli anni settanta) e porta con sé dalla sua esperienza letteraria una straordinaria dote – quella di non prendersi mai del tutto sul serio, anche al momento della resa dei conti. Una dote di cui, dopo il ridicolo involontario di Alice, si sentiva il bisogno come dell’aria.

Dal canto suo, il ricchissimo cast riesce a compiere l’impresa più ardua che gli veniva richiesta, ovvero quella di arginare l’ingombrante presenza di Johnny Depp. Se l’attore è certamente ancora popolarissimo ed è la “star” attraverso cui il film viene venduto al pubblico in tutto il mondo, non c’è dubbio che nel tempo sia diventato il maggior argomento d’attacco nei confronti dei film più recenti di Burton. E non sempre a torto. Risaputo make-up a parte, Depp fa il suo lavoro con classe e abnegazione, ma in Dark Shadows c’è ben altro: Michelle Pfeiffer, che comprende meglio di tutti gli altri come funziona il linguaggio di una soap, e recita di conseguenza; Helena Bonham Carter, che prima di essere la musa del regista è un’attrice con una mimica strepitosa e un invidiabile intuito comico; Chloe Moretz, che si impegna un po’ troppo ma all’occorrenza sa riscattarsi; la graziosa Bella Heathcote, che con quella faccia non poteva che finire nei panni dell’eroina emaciata in un film di Tim Burton. Ma soprattutto c’è Eva Green: grazie a lei la biondissima e demoniaca Angelique Bouchard è il personaggio più riuscito del film e tra i più memorabili della filmografia burtoniana, ruba la scena a tutti ogni secondo in cui è in campo con una bellezza abbagliante e un sorriso perfido e malefico. Un amore a seconda vista.

Tra gli aspetti che colpiscono di più in Dark Shadows c’è però sicuramente la magnificenza visiva, che ne fa uno dei film di Burton più “belli a vedersi”: il direttore della fotografia Bruno Delbonnel ha alle spalle un curriculum davvero notevole (da Amelie al Principe Mezzosangue fino al Faust di Sokurov) e qui conferma la sua enorme bravura e la sua elasticità assecondando le visioni del regista (per dirne una, il fantasma di Josette arriva dritto dalla Sposa Cadavere) non limitandosi a riempire il film di carrelli e dolly virtuosistici ma facendo respirare un senso di cura quasi ossessiva per ogni singola inquadratura, dalla saturazione dei colori alla posizione dei corpi e degli oggetti nello spazio, che lascia spesso ipnotizzati – e che richiede di essere goduta sul grande schermo. Splendente superficie senza alcuna profondità? Non proprio. Si potrà obiettare che Dark Shadows è più che altro un gioco, a tratti volutamente sciocco, che a volte sacrifica il pathos per una (buona) risata: ma è anche un film in cui Burton recupera una spontaneità, un equilibrio nella gestione tecnico-artistica e un senso dell’umorismo che non gli riconoscevamo da tempo, nonostante l’impegno preso per difendere la sua buona fede. La barricata resta alta, vedrete, ma stavolta non avrebbe nemmeno bisogno del nostro aiuto.

8 Thoughts on “Dark Shadows, Tim Burton 2012

  1. Da “Perfect Sense” in poi, ho messo Eva Green all’interno del mio personalissimo pantheon cinematografico – sezione femminile A-L

  2. Quoto e aggiungo:
    Vogliamo più film con Eva Green, e meno di Burton.

  3. Pero on 12 maggio 2012 at 22:43 said:

    Non so se mi fa più senso l’etichetta “poco più che mediocri” per le musiche di Sondheim o un amore scritto con l’apostrofo.

    • Grazie, fai bene a segnalarlo, con questo tipo di orrori (anche se causati da fretta e distrazione, come in questo caso) io stesso sono molto intransigente.
      Con la simpatia invece di solito ho un ottimo rapporto.

  4. Davvero molto carino, visivamente perfetto, Burton è tornato in forma e si vede!
    Peccato però per la sceneggiatura un po’ buttata lì, tra buchi, mancate spiegazioni e orribili colpi di scena.

  5. Sono d’accordo con Bollalmanacco: visivamente il film colpisce, come (quasi) sempre le invenzioni estetiche di tim burton non lasciano indifferenti, ma la sceneggiatura lasci molti filoni incompiuti, la trama e l’espediente del protagonista catapultato in un’altra epoca sono abbastanza banali, e nel complesso non c’è nulla di veramente nuovo dalla solita formula di burton.

  6. invece io trovo che ormai Burton abbia perso la sua poetica, come ho scritto in maniera più sensata e in un italiano quasi corretto qua: http://www.vennon.it/?p=165

  7. Io amo Burton oltre modo e misura…quindi, premesso questo, mi trovo sempre a difendere spudoratamente tutto ciò che lo riguarda, comprese le critiche massacranti degli ex burtoniani. Al di la dei colpi di scena di cui avrei fatto senz’altro a meno, io senza mezze misure dico che Dark Shadows abbia la forza sufficiente per mettere a tacere questi patetici e inutili commenti fatti da chi, ancora non ha compreso la vera POETICA di Burton…

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